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Simone sente il muro ruvido grattare contro la giacca ma non smette di spingerci contro con le spalle, come se volesse entrarci dentro e sparire.
Al di là dell'angolo dietro cui si sta nascondendo arrivano voci roche che si sbraitano contro cose che riesce a malapena a collocare in un discorso logico ma la situazione gli è molto chiara in ogni caso.
Vorrebbe uscire e prendere le sue difese.
Vorrebbe urlare e dire all’altro di smetterla.
La paura però lo paralizza e lo tiene lì, dietro il muro, a tremare immobile.
«Ti ho detto che te lo cerco».
«Ragazzino forse non ci siamo capiti», sente dei rumori che non gli piacciono per nulla e i piedi quasi si muovono da soli, «Tu me lo riporti domani».
Si sporge di poco e vede l'energumeno enorme dell'altra volta sovrastare Manuel.
Sente il respiro accelerare, i pensieri spegnersi. Fa un passo in avanti, fuori dal suo nascondiglio, ma Manuel alza una mano.
Non lo guarda in viso, non lo ha fatto neanche per un secondo, ma Simone sa che è per lui e fa quanto gli ha intimato. Ritorna nel suo nascondiglio e aspetta.
«Non farmi perdere tempo mai più in questo modo, ragazzino», dice buttandolo a terra.
Simone aspetta di sentire i passi dell'uomo che si allontanano e sporge la testa piano, correndo di scatto non appena esce fuori dal suo campo visivo.
Si catapulta su Manuel rannicchiato a terra.
«Oh, stai bene? Manuel?» dice un paio di volte, sempre più agitato, prima che l’altro risponda.
«Sì, sì ma non urlare», è la risposta scorbutica e approssimativa che gli viene data tra un colpo di tosse e un altro.
Solo in quel momento Simone vaglia a fondo la figura di Manuel.
Ha il naso tumefatto e un rivolo di sangue si ferma sul labbro superiore. Quello inferiore è rotto e si tiene le mani sullo stomaco, cosa che Simone annovera tra i segni che non promettono bene.
La preoccupazione lascia presto il posto ad un altro sentimento che Simone, ultimamente, sta provando spesso. Senza riuscire a contenersi si alza e lo guarda da sopra a sotto.
«Ti porto anche un cuscino così dormi qui?», chiede acido. «Una coperta la vuoi?»
«Sì, poi mi prendi anche una TV e un abbonamento Netflix».
Il non essere preso sul serio lo fa infuriare ancora di più.
«Pensi che tutto sia un gioco? Io non voglio starti appresso mentre cerchi di farti ammazzare perché ti diverte», neanche si accorge che sta iniziando ad urlargli in faccia, «Non ho intenzione di farmi trascinare da te nella tua folle vita dove nulla ha senso. Non voglio essere tuo amico se vuol dire venirti a recuperare sporco di sangue e mezzo morto nella periferia romana».
«Che vuoi da me, Simò? Ti ho costretto io a venire?»
Simone lo guarda sbigottito, improvvisamente consapevole di ciò che ha detto.
Lo sa perfettamente perché è lì ma non riesce ad ammetterlo, nemmeno a sé stesso.
«Sei un coglione», dice rimettendolo in piedi senza troppe cerimonie, facendolo lamentare.
«Scusa», borbotta in risposta alle sue lamentele infastidite.
Manuel non risponde.
*
Fortunatamente la madre di Manuel non è a casa e Simone può cercare garze e disinfettante mentre lui si fa una doccia.
Quando esce dal bagno ha i capelli ricci che gli ricadono bagnati sulle guance e solo un asciugamano attorno alla vita.
Simone vorrebbe distogliere lo sguardo ma sotto lo sterno accanto al tatuaggio ha un livido violaceo che lo fa preoccupare parecchio.
«Sei sicuro che non sia il caso di andare in ospedale?»
«Ma che ospedale… Che gli dico? 'Scusate uno spacciatore mi ha preso a calci perché ho perso il carico di roba che dovevo spacciare al posto suo nel mio quartiere'».
Simone si incupisce e prende un dischetto imbevuto di disinfettante, per tenere le mani occupate, per fare qualcosa che non sia spaccargli anche l’altro lato della bocca. «Posso?»
Manuel annuisce e lui si avvicina passando piano sulla ferita. Le mani gli tremano un po’ adesso che sulle dita si infrange il respiro caldo e il volto di Manuel si corruga in una smorfia di fastidio.
«Cerca di non muoverti troppo, fai riuscire il sangue», lo ammonisce bonario mentre si assicura di disinfettare anche i tagli che il colpo sul naso gli ha creato sul viso.
«Sì, mamma».
Simone alza gli occhi al cielo e getta il dischetto nel secchio.
«Devi tenere il ghiaccio sull'ematoma, domani ti prendo una pomata. Per il naso invece...»
«Che c'è so tanto brutto col naso storto?» scherza.
Per Simone non sarebbe brutto in nessun caso ma si guarda bene dal dirlo.
«Solo più stronzo», risponde di rimando, per poi aggiungere: «Speriamo non sia rotto».
Manuel fa spallucce e sorride leggero. E c’è qualcosa nel suo volto tumefatto e sorridente che gli fa stringere lo stomaco, una sensazione che non ha mai provato prima, un bisogno che non sa bene da dove parte.
Simone sente il collo andare a fuoco e si affretta a distogliere lo sguardo. «Hai bisogno di altro?»
Manuel si lascia cadere sul divano prima di rispondere. «Una canna».
Simone scuote la testa. «Tu non capisci proprio, vero?»
«Che cosa, Simò? Dimmelo. Che magari ti levi quella faccia da morto».
Non capisci quanto mi hai fatto preoccupare.
Non capisci quanto sono spaventato.
Quanto vorrei mandarti a fanculo ma non voglio lasciarti solo.
«Niente, Manuel. Lascia sta, tanto con te è una causa persa».
Manuel lo fissa immobile. Simone non può fare a meno di notare le mani strette a pugno e lo sguardo che sembra volerlo trafiggerlo.
«Allora perché sei qui, Simò?»
E non glielo dice con la strafottenza con cui se lo sarebbe aspettato. Glielo dice calmo, con gli occhi che parlano una lingua che Simone non riesce a capire ma che lo fa sentire messo a nudo, spogliato della sua corazza.
Ci mette un po’ a recuperare i pensieri che gli si affollano nella testa sotto quello sguardo e solo quando diventa insopportabile restare immobile risponde. «Perché penso che avresti fatto lo stesso», dice mentre abbassa lo sguardo, cambiando discorso subito dopo. «Ti ho messo sul tavolo una tachipirina, prima sentivo che ti lamentavi del mal di testa».
Manuel annuisce silenzioso e Simone non si azzarda a guardarlo per più di qualche secondo di sottecchi. «Ora devo andare».
«Sì, sì certo», risponde Manuel e non sa se è se è perché è stanco o perché sta pensando ad altro ma suona così dispiaciuto che Simone si giustifica.
«Devo fare delle cose a casa», mente.
Manuel annuisce e lo accompagna alla porta senza una parola. Lo lascia solo con la promessa di rivedersi domani, per medicarlo ancora.
Quando già si trova alla fine delle scale, convinto di esserselo lasciato alle spalle, sente Manuel dall'alto dire ad un tono di voce appena udibile «Grazie. Non eri tenuto a farlo», ma quando alza lo sguardo è già scomparso dal parapetto per richiudere la porta di casa rumorosamente.
«Come se avessi davvero scelta», borbotta prima di salire sul motorino.
