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Tre del mattino? Gnocchi al formaggio!

Summary:

«Muoio di fame, Germania, mi brontola la pancia. Voglio gli gnocchi al formaggio.»
«Fammi capire. È una specie di frase in codice per dirmi che vuoi fare sesso?»
«No, no. Nessuna frase in codice, nessun doppio senso, lo giuro. Voglio sul serio gli gnocchi al formaggio. Quelli veri, sai, quelli con le patate e il gorgonzola fuso.»
«Così la stai facendo sembrare ancora più equivoca.»

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[🇬🇧] What do you do when it’s three in the morning and you’re craving cheese gnocchi? You bother Germany and make a total mess in the kitchen!
A delicious three chapters meal about late night dinners, about cheese nightmares, about a very stressed Germany and a very hungry and neglected Italy.

Buon appetito!

[🇬🇧] Chapter summaries in English

Chapter 1: 1

Summary:

In the middle of the night, Italy is woken up by an urgent and ferocious hunger. He's hungry for gnocchi. He needs to eat, but Germany needs to sleep. 

Their peaceful night of sleep before work could suddenly become a very troubled misadventure.


 

Chapter Text


 

Tre del mattino? Gnocchi al formaggio!

 

 

 

 

 

1


 


 

Una goccia d’acqua si sciolse e precipitò dal sifone della cucina, piovve dentro uno dei due bicchieri – plic! – che giacevano solitari sul fondo del lavello, e fece vibrare un eco sottile e metallico che attraversò il corridoio, la porta socchiusa della camera da letto, fino a rimbalzare sulla testolina addormentata di Italia.

Scosso dal suo sonno, Italia stropicciò la fronte in una smorfia. Le palpebre tremolarono e si schiusero sulla penombra bluastra che attraversava le striature frammentate dalle tapparelle non del tutto abbassate. Italia succhiò un piccolo sospiro dal naso. Sbatacchiò gli occhi, sfilò il braccio avvolto attorno al torso di Germania, e sventolò la mano davanti a un avido sbadiglio che gli lasciò le ciglia umide. Tornò ad abbracciare Germania e sospirò sul suo petto caldo, sul suo profumo fresco e muschiato di bagnoschiuma e di lenzuola pulite. Chiuse gli occhi riposando con la guancia sul suo battito lento e assopito, determinato a tornare immerso nei suoi dolci sogni popolati da soffici gattini da coccolare, cieli azzurri e vallate verdi da ritrarre ad ampie spennellate di tempera, e piatti di pasta da divorare a sazietà.

Un formicolio gli si arricciò in fondo allo stomaco, allungò un brontolio che frignò come una delle sue solite lamentele, per poi spegnersi, lasciando dentro di Italia il doloroso vuoto di un crampo di fame che pesava come un sasso.

Un secondo plic dell’acqua sgocciolata dal sifone gli punse la nuca. Fu un suono più acuto e penetrante del precedente, gli scaricò un brivido gelido lungo la schiena e scosse un secondo borbottio fra le pareti del suo stomaco.

Italia strinse la bocca, succhiò la saliva dalle guance, si leccò le labbra inaridite, e si srotolò dall’abbraccio di Germania. Schiena sul materasso e faccia al soffitto. Strizzò le mani sulla coperta, arricciò i piedi sul fondo del letto, e trattenne il fiato resistendo a un altro crampo che bussò alle pareti del suo stomaco scandalosamente vuoto. Spalancò gli occhi, e il suo sguardo sveglio e tremulo fissò le striature di luce bluastra proiettate dalla finestra affacciata alla notte, al silenzio della città ancora addormentata.

Piovve un altro plic dal lavello della cucina. 

Una riga di sudore scivolò dai capelli di Italia, gli attraversò la tempia, rotolò dietro l’orecchio, e bagnò lo stesso cuscino su cui riposava anche la guancia di Germania. Anche Germania arricciò un piede infilato fra le caviglie di Italia, strinse il braccio avvolto attorno alla sua pancia brontolante, e sollevò il mento soffiando un sospiro fra i suoi capelli. Il suo viso giacque tiepido fra il collo e la spalla di Italia, così pacificamente assopito. Nemmeno quella sua dolce coccola, tuttavia, servì a riportare la pace nei pensieri di Italia e la quiete nel suo pancino affamato.

Italia fece scivolare una mano sotto la coperta e sotto il braccio di Germania che gli avvolgeva il torso. Si massaggiò lo stomaco, assecondò un suo gorgoglio borbottando a labbra strette, e si rotolò sull’altro fianco. Allungò il braccio sul comodino, urtò e scostò il tubetto di crema per le mani, la scatola dei Kleenex, e raggiunse il telefono collegato al cavo del caricabatterie. Pigiò il tastino laterale e socchiuse le palpebre respingendo l’abbaglio dello schermo che gli si accese sulla faccia, colorandogli le guance di azzurro.

L’ora brillò sullo sfondo della home: una fotografia di lui e Germania scattata ai mercatini di Natale dell’inverno appena trascorso.


 

03: 02


 

I berretti di lana, il radioso sorriso di Italia che sbucava da sotto la sciarpa, il suo braccio allacciato a quello di Germania, la mano libera che teneva alta l’inquadratura del telefono, e lo sguardo stupito di Germania che era stato sorpreso da quell’abbraccio e da quello scatto proprio prima di addentare un morso al suo panino di salsiccia e crauti.

Italia non riuscì proprio a farsi contagiare dal suo stesso sorriso ritratto nella foto, dal ricordo di quella splendente giornata di neve, campanelle, cioccolata calda, frittelle zuccherate e luminarie.

Le tre di notte?

Una smorfia di delusione gli ingrigì la faccia, gli torse le labbra in un grugnito che fu ancor più basso e lamentoso dell’affamata protesta del suo stomaco.

Così presto?

Fin troppo presto per quella che avrebbe potuto essere una colazione anticipata, ma ormai troppo tardi per uno spuntino di mezzanotte. La vita sapeva essere così ingiusta. Così crudele.

Italia lasciò scivolare il telefono sul comodino e gli diede le spalle. Diede le spalle a lui, allo sgocciolio del lavello, al ronzante richiamo del frigorifero che gli bisbigliava seducenti paroline d’amore dalla cucina, e si spinse contro il fianco di Germania. Strinse l’abbraccio e schiacciò il viso proprio al centro del suo petto, sul profumo di ammorbidente della sua maglietta. Sperò così di potersi concentrare su qualcos’altro, su qualcosa di più potente e importante della voce della sua fame.

Germania si scosse in un sussulto, come strappato anche lui dal sonno. Allungò la gamba intrecciata a quelle di Italia – la coperta frusciò soffice nel silenzio della notte –, sistemò il braccio sotto il suo fianco, strofinandogli una soffice grattata alla schiena, come faceva di solito per calmarlo durante gli incubi o i temporali, e gli appoggiò il mento sulla spalla. Dopo un sospiro soffiato fra i suoi capelli, tornò a dormire pacifico. Il suo respiro solo un po’ più corto, solo un po’ più lieve.

In un’altra occasione, a Italia sarebbe bastato quell’abbraccio per sentire il battito del suo cuore acquietarsi e la sua mente svuotarsi, tornare a scivolare nel fiume dei suoi sogni. Questa volta la magia non riuscì. Non dopo che un altro crampo gli azzannò lo stomaco, risuonando anche sulla pancia di Germania così vicina alla sua.

Italia mugugnò un lamento e si arricciò fra le sue braccia per resistere al dolore che gli aveva mitragliato la pancia e fatto salivare le guance e il palato. Le voci tentatrici che bisbigliavano e ridacchiavano dalla cucina gli si accostarono alla spalla, si materializzarono in una terza incomoda presenza scivolata anch’essa sotto le coperte. Le voci si accostarono all’orecchio di Italia – hai fame, piccolo Italia? –, soffici come un paio di labbra tiepide e carnose, lo tornarono a chiamare – certo che hai fame, ooh, senti come ti brontola il pancino. Una fame tale da divorarti pure il tavolo e la tovaglia, giusto? –, e gli fecero schiudere le palpebre, catturando il suo sguardo e facendolo scivolare all’indietro, verso lo spiraglio della porta che dava sul corridoio. 

Il freddo ronzio del frigorifero lo costrinse a far schioccare le labbra inumidite dall’acquolina che aveva preso a sgocciolargli dall’angolo della bocca. Sotto il naso di Italia scivolò un cremoso profumino di formaggio dolce e stagionato, di gorgonzola fuso. 

Altre immagini si sostituirono a quelle dei suoi sogni stracciati. Una nevicata di Parmigiano spolverata su un caldo e fumante piatto di gnocchi di patate che fece subito sciogliere lo strato di formaggio, indorando una crosticina bruna e croccante che era facile rompere con il dorso della forchetta. Una volta sprofondata nel piatto, la forchetta sollevava un boccone filante di gnocchi. Italia si immaginò di soffiarci sopra, dissolvendo quella bianca nuvoletta dal profumo così tiepido e saporito. Il boccone di gnocchi gli riempiva le guance, si scioglieva sul palato spalancando una luce dorata e celestiale, gli spolverava le guance di un’emozione incandescente e placava le proteste del suo pancino affamato. Il boccone successivo era ancora più abbondante e cremoso, ancora più saziante – vuoi davvero resistermi, Italia?

Italia piagnucolò e si tappò le orecchie per respingere il rimbalzo di quelle voci, il profumo sfrigolato da quelle immagini appena sfornate dalle sue fantasie notturne più proibite. Non funzionò. Il suo stomaco protestò di nuovo, trapanò un brontolio che spalancò una vertiginosa voragine di fame, facendolo rabbrividire fino alle ossa. 

Dopo un lungo e arreso sospiro, Italia sollevò la guancia dal cuscino, sbatté gli occhi per riabituarsi alla penombra, e si ritrovò costretto ad affidarsi all’unica soluzione su cui sapeva di poter contare quando si trovava nei guai. Nei guai seri.

«Germania…» Italia sfilò il braccio dal fianco di Germania e tese l’indice per punzecchiargli la guancia, la fronte. «Psst» bisbigliò. «Ehi, Germania…» Gli strofinò la punta dell’indice fra le sopracciglia, dove la pelle si era già raggrinzita in una scura fossetta di rughe. «Germania» lo tornò a chiamare a voce più alta. «Sei sveglio?»

Germania contrasse la fronte punzecchiata dal dito di Italia. Grugnì un gemito che finì soffocato dal cuscino che stavano condividendo, e socchiuse le palpebre cerchiate da violacei segni di stanchezza. «Che c’è, Italia?» Si portò una mano alla fronte, scostando il tocco di Italia, e si massaggiò le tempie, i capelli spettinati, le guance attraversate dai segni del lenzuolo. Soffiò un altro grugnito dentro il palmo. Ora sì che era sveglio. Prima non lo era. «Perché sei sveglio?» gli chiese. «Hai fatto un incubo?»

Oh, no. Quella era un’emergenza assai più allarmante di un incubo nel cuore della notte.

«Ho fame, Germania.» Italia fece scivolare un piede fra quelli di Germania, gli grattò la caviglia, e tornò a tamburellare due dita sulla sua fronte, a massaggiare piccoli cerchi. Adesso che i suoi occhi si erano abituati alla penombra bluastra della camera, riusciva a distinguere ogni grinza infossata fra le rughe che avevano stropicciato la faccia di Germania in un’espressione stanca e immusonita. «Muoio di fame, mi brontola la pancia.» Italia si leccò una traccia di saliva gocciolata dall’angolo delle labbra. «Voglio gli gnocchi al formaggio.» Il solo pensiero gli fece di nuovo gorgogliare la pancia come un calderone sul fuoco.

Germania socchiuse un occhio ancora appannato di sonno, inarcò un sopracciglio. Gnocchi al formaggio? Qualcosa gli puzzava. E non era puzza di pecorino stagionato. «Fammi capire.» Si stropicciò la fronte e sospirò di nuovo. «È una specie di frase in codice per dirmi che vuoi fare sesso?» Senza aspettare risposta – sarebbe stato troppo rischioso – si rotolò sull’altro fianco, si spinse fino alla sponda opposta del letto, sul fresco del suo cuscino, e si rimboccò la coperta attorno alle spalle. Allontanò da Italia spirito e corpo. Nemmeno lui era così sicuro di saper resistere a certi appetiti in piena notte. «Scusa, ma sai che prima di una riunione non riesco proprio a…»

«No, no» garantì Italia. «Nessuna frase in codice, nessun doppio senso, lo giuro.» Scivolò addosso a Germania, tornò ad aggrapparsi alla sua schiena, a intrecciare le ginocchia fra le sue gambe, e gli premette la fronte sul collo. Il respiro caldo gli solleticò la pelle, gli occhi brillarono nella penombra, piccanti brividi di anticipazione gli scossero i piedi, il batticuore accelerò accendendogli le guance e facendogli salivare la bocca sorridente. «Voglio sul serio gli gnocchi al formaggio. Quelli veri, sai, quelli con le patate e il gorgonzola fuso.»

Germania diede una sbirciata alle sue spalle. «Così la stai facendo sembrare ancora più equivoca.»

In un’altra occasione, Italia avrebbe approfittato del doppio senso e ci avrebbe riso sopra. Avrebbe solleticato Germania sbaciucchiandogli il collo, le labbra, e gli avrebbe infilato la mano chissà dove. Ma le proteste del suo stomaco bussarono di nuovo alle pareti della pancia, rabbuiando così tutto il suo umorismo. «Dai, Germania…» Italia lo scosse per la spalla a cui era aggrappato. «Andiamo a preparare gli gnocchi. Se non li mangio subito poi diventerò matto.»

Germania indurì i muscoli e si rifiutò di scollare la guancia dal cuscino. «Come se tu non lo fossi già.»

Italia frignò a labbra strette. Gli batté la fronte fra le scapole e lo scrollò ancora più forte. «Germaniaaa. Gli gnocchi al formaggio, Germania, dai, giuro che non ti chiederò nient’altro fino a…» Ci pensò su, smettendo di scuoterlo solo per quell’attimo di raccoglimento. «Fino a dopodomani, ecco.»

Germania, forse solo nell’intento di allontanarsi da Italia e dai suoi capricci, si spinse fino al ciglio del letto, e allungò il braccio sul suo comodino inondato dalle striature di luce notturna. Tastò la base della lampada, l’agenda rigonfia di impegni, un romanzo dentro cui aveva infilato un biglietto da visita come segnalibro, fino a raggiungere il suo telefono. Lo accese, facendosi anche lui abbagliare dall’ora sullo schermo.


 

03:09


 

L’ora gli si palesò non davanti a una tenera fotografia selezionata dalla sua galleria di scatti e ricordi, ma su uno di quegli sfondi standard già compresi nella memoria del telefono: cinque rocce levigate e tondeggianti impilate una sull’altra, dalla più larga alla più piccola. 

Nonostante la pace interiore evocata e trasmessa da quell’immagine molto zen, Germania rilesse l’ora tre volte di seguito, fino a sentirsi svenire. «Sono le tre del mattino, Italia.» Rimise giù il telefono, lasciandolo scivolare sopra la sua copia di Uomini e topi, e tornò a cadere con la guancia sul cuscino. Tirò su il lembo di coperta che gli era sdrucciolato dalla spalla. «Abbiamo la sveglia alle sei e mezza, la riunione comincia alle nove, e dobbiamo comunque sbrigarci per arrivare in albergo almeno con un’ora di anticipo.» Allungò un braccio dietro di sé per raggiungere Italia e consolarlo con una soffice pacca strofinata su quella sua testolina capricciosa e travagliata. «Su» gli fece, armato di tutta la santa pazienza richiesta dalla situazione. «Rimettiti a dormire.»

Italia intrecciò la mano a quella che Germania aveva allungato per strofinargli la carezza sulla testa. Gliela sprimacciò un paio di volte, e la sua vocina lagnosa sembrò strizzata proprio da quel gesto. «Non riesco a dormire se ho fame.»

«Resisti fino all’ora di colazione.»

«Ma io ho fame adesso.» Italia tornò ad allungarsi sul fianco di Germania, ad avvolgere le braccia attorno alle sue spalle e a far dondolare un ginocchio fra le sue gambe. «Ed è una fame vera, giuro, non sto facendo i capricci.»

«Bevi un bicchiere di latte.» Germania le provò tutte. «O mangia qualche biscotto, un pacchetto di cracker. Vedrai che poi ti passa.»

Italia strizzò gli occhi e scosse forte la testa. «Ma questa è una fame da gnocchi al formaggio, non da cracker o biscotti.»

Germania svuotò un sospiro dal petto. «E che differenza fa?»

«Che questo è quel genere di fame che ti passa solo se mangi gnocchi al formaggio.» Italia guidò Germania facendolo rotolare sull’altro fianco, in modo da poterlo fronteggiare e avvolgergli così le mani attorno alle guance. «Non riuscirò a smettere di pensarci se non li mangio subito.» I suoi occhi disperati vacillarono attraverso la penombra bluastra della camera da letto. «E se non riesco a smettere di pensarci poi non riuscirò a riaddormentarmi, e se non mi riaddormento allora domani alla riunione non riuscirò a stare sveglio e attento, non prenderò nemmeno un appunto, e tu mi sgriderai, e…»

«Ma dove li vai a trovare gli gnocchi al formaggio alle tre del mattino?» Germania aggrottò un sopracciglio davanti alle parole di Italia, perché la prospettiva che lui si distraesse o che si addormentasse durante la riunione era ben più tragica e spaventosa rispetto all’idea di un piatto di gnocchi al formaggio consumati alle tre del mattino. «Tu che di solito li prepari sempre in casa, poi. Non vorrai mica metterti a impastare gli gnocchi nel cuore della notte?»

Un luccichio di natura diversa, più calda e amabile, scintillò nel profondo degli occhi di Italia. La sua smorfia di dolore s’illuminò e curvò verso l’alto, trasformandosi in un sorriso dolce e speranzoso, anche se piccolo. «Ci sono ancora da parte quelli che ho preparato martedì, ti ricordi?» Italia accostò la fronte a quella di Germania, strofinò i pollici ancora avvolti attorno alle sue guance. «Ne erano avanzati un po’, così li ho messi in una vaschetta sottovuoto in frigorifero. Però se li lascio in frigo per troppi giorni poi si seccano, e sai quant’è difficile che gli gnocchi così freschi e fatti in casa rimangano della consistenza giusta. È un peccato se vanno sprecati, vero?» Annuì rispondendosi da solo. «Anche tu dici sempre che non si spreca il cibo.»

Germania non ebbe proprio il cuore di negarlo. Tuttavia, non la trovò una scusa abbastanza accettabile per giustificare una pentolata di gnocchi – formaggio o non formaggio compreso – cucinata alle tre del mattino. «Preparali domani a pranzo, allora» gli propose. «Se la riunione finirà in fretta, possiamo anche tornare a casa a mangiare, e…»

«Domani a pranzo sarà già troppo tardi.»

«Domani a colazione, allora.» Germania pensò che non sarebbe mai riuscito a tollerare il peso di una simile colazione, nemmeno dopo un fine settimana trascorso a suon di sbornie, tuttavia… «Mancano solo quattro ore alla colazione, puoi sicuramente farcela a resistere. Se ci tieni tanto.»

Il sorriso di Italia si ammosciò. Dal suo sguardo appassì ogni luce e ogni speranza. «Ma lo sai che io non riesco a mangiare piatti salati a colazione.» Ricominciò a scuotergli la spalla, a frignare guaiti da gattino bagnato. «È tipo un sacrilegio. Tipo…» Pigiò l’indice sul naso di Germania. «Ecco, come se io chiedessi a te di bere della birra sgasata o di mangiare una salsiccia senza crauti di contorno.»

Germania gli scansò via la mano. «Ci sono sacrilegi ben peggiori. E vedrai che all’ora di colazione ti sarà già passata la voglia di gnocchi.»

«No» rispose Italia. «Perché quando ci metteremo a tavola sarò talmente di cattivo umore che non riuscirò nemmeno ad annusarla, la colazione. Finirò per mescolare il pepe nel latte invece che il cacao. E sulle fette biscottate spalmerò la maionese al posto della marmellata.»

«Allora comincia a pensare a qualcosa che potrà farti sentire meglio quando ti sveglierai di cattivo umore.»

«Cucinare immediatamente un bel piatto di gnocchi al formaggio mi renderebbe contentissimo, ne sono sicuro.»

«Ma se ti metti a cucinare adesso poi non riuscirai a riaddormentarti.»

«Se non mangio gli gnocchi adesso non riuscirò mai a riaddormentarmi.» Italia stropicciò la fronte in una smorfia blu e lacrimante proprio come quella luce che gocciolava dalle tapparelle socchiuse. «Non farò altro che pensarci, fino a impazzire.» Si gettò di schiena sul materasso, faccia al soffitto, e si schiaffò le mani sulle guance che impallidirono come quelle di uno spettro. «Morirò impazzito e soffocato sotto una tempesta di incubi formaggiosi, Germania.» Rabbrividì dalle punte dei piedi fino al ciuffo arricciato che si ammosciò sul cuscino. Sotto le strisce di luce notturna proiettate dalla tapparella socchiusa, le sue guance assunsero un aspetto ancora più tetro e incavato. «È terribile.»

Germania cercò di non focalizzarsi troppo sulle assurde sfumature che stava assumendo il quadro di quella conversazione. E, ricominciando a sentire un certo prurito stuzzicargli la base del collo, cominciò anche a domandarsi se dietro i capricci e l’insistenza di Italia non si nascondesse un secondo fine. «Vedrai che starai bene.» Sollevò la coperta e lo rimboccò per bene, sperando di poter seppellire sotto la trapunta non solo Italia, ma anche tutte le sue grane e i suoi piagnucolii. «Su, adesso fai uno sforzo serio e rimettiti a dormire. Vedrai che appena chiuderai gli occhi la fame ti passerà subito.»

Italia si rotolò sotto la coperta, si aggrappò alla maglietta di Germania e gli diede qualche piccolo strattone. «Il ronzio del frigorifero mi sta provocando.»

«E tu non dargli retta.» Germania si girò di schiena e chiuse gli occhi, determinato a non riaprirli fino allo squillo della sveglia. L’indomani sarebbe stata una giornata lunga e impegnativa. Voleva evitare di trasformare anche quella notte in un’esperienza lunga e impegnativa.

Affianco a lui, Italia tirò su col naso. Scosse i piedi in fondo al letto, stropicciò le mani sulla coperta in cui era avvolto, si rotolò da una parte, dall’altra, e ricominciò a soffocare brontolii e piagnistei nell’imbottitura del cuscino.

Germania inarcò un sopracciglio, ma non riaprì le palpebre serrate. Aveva sul serio bisogno di prendere sonno. «Non brontolare.»

Italia emise un guaito strozzato. «Non sono io che brontolo.» E il cuscino soffocò la sua voce. «È il mio stomaco.»

«Allora cerca di farlo stare zitto.» 

«È lui che mi comanda, non io. Il mio stomaco ha tipo…» Italia si tornò a rotolare sulla schiena, accompagnato da un fruscio di coperte, e si batté una mano sulla pancia. «Un cervello tutto suo.»

«Allora per stanotte mandalo in ferie» gli disse Germania. «O in sciopero.»

«Oh.» Una colorata nota di stupore zampillò dalle labbra di Italia, dal suo sguardo di nuovo acceso. «Come fa sempre il fratellone Francia?»

«Come dovrebbe fare un cervello che ha solo bisogno di dormire e riposarsi.» Germania allungò un braccio e gli tornò a rimboccare le coperte sotto il mento, resistendo al prurito della mano che avrebbe voluto sollevarle ancora un po’ più in alto, fino agli occhi di Italia, magari fino alla sua fronte, fino a seppellirlo sotto un sudario di soffice e benedetto silenzio.

«Ma io ho bisogno di mangiare, non di riposarmi.» Italia ci impiegò poco a far tremolare le labbra e a torcerle in un’espressione grigia e disperata. Ricominciò a lamentarsi, a far dondolare i piedi che urtarono anche quelli di Germania. «Morirò impazzito e affamato.» Singhiozzò. Stropicciò un pugno sulla guancia per asciugarsi una lacrima invisibile. «Prigioniero per tutta l’eternità di un incubo formaggioso. Che crudeltà.»

«No» sospirò Germania. «Ti giuro che non succederà.»

Italia strizzò le mani sulla coperta, se la tirò fino al mento e rabbrividì, di nuovo pallido in viso. «Mi assalirà un esercito di mozzarelle» gemette. «Mi si incolleranno addosso succhiandomi il sangue come le zecche.»

«No.» Un altro gramo sospiro appesantì il petto del povero Germania. «Non lo faranno.»

«Le ciliegine di mozzarella, Germania.» Italia gli si gettò addosso, gli si appese al braccio, gli spinse la fronte sulla spalla e scosse ripetutamente la testa. «Se mi addormento proprio mentre ho fame di formaggio allora mi assaliranno le ciliegine di mozzarella. Avranno i dentini tipo gli zombie.»

«Non esistono le mozzarelle-zombie.»

Italia strinse ancor di più la presa. «Precipiterò da un burrone di Grana Padano! Oppure…» Ansimò. Raccolse il cuscino e se lo spremette attorno alla testa, sulle orecchie, per non udire l’orrore suscitato dalle sue stesse parole. «Oppure finirò risucchiato in un vortice di fontina. Sai cosa ci sarà ad aspettarmi in fondo al burrone di Grana Padano, Germania? Le sabbie mobili di fontina e ricotta. Mi inghiottiranno!» Si tornò ad arrotolare addosso alla schiena di Germania, gli strinse le braccia attorno ai fianchi, strofinò più e più volte le mani sui muscoli pettorali, seppellì la faccia fra le sue scapole e lì in mezzo soffocò una cascata di singhiozzi. «Morirò annegato in un lago di sabbie mobili fatte di ricotta.»

Germania strinse il pugno che teneva infilato sotto il cuscino, socchiuse gli occhi su quella fantasia raccapricciante. «Dormi, Italia.» Prima che cominci a venire fame di formaggio pure a me…

Italia gli strizzò le mani sulla maglietta e sbatacchiò la fronte sulla sua nuca. «Non voglio morire così.» Soffocò un sospiro sulla sua schiena. «Non nel formaggio.» Con le punte dei piedi agitò un caldo e sfarfallante solletico attorno alle caviglie di Germania. «Se morissi annegato in un incubo di sugo di polpette e pomodoro sarebbe una fine un po’ più dolce, ecco.»

«Italia…»

«Con un po’ di basilico, magari.»

Germania cominciò a credere che, se il piagnisteo di Italia sarebbe continuato ancora a lungo, sarebbe stato lui quello a morire impazzito. E sarebbe morto anche senza il basilico di contorno. Che sorte crudele.

Germania sospirò. Sollevò la guancia dal cuscino e girò uno sguardo esasperato alle sue spalle, dove Italia era ancora rannicchiato, scosso da tutti quei singhiozzi senza fine. «Non ce la fai proprio a resistere?» gli domandò. «Gli gnocchi al formaggio…» Si massaggiò la fronte tartassata da un martellio sempre più rapido, sempre più acuto e doloroso. «Devi proprio mangiarli adesso?»

Italia strinse le braccia allacciate al torso di Germania. Annuì sfregando fronte e capelli sul suo collo. «Adesso-adesso, sì.» Tramite quel gesto, sembrò proprio essersi già scrollato di dosso tutte le lacrime, i capricci, e il cattivo umore. «Subito-subito, in questo preciso istante.»

«E non ce la fai proprio ad aspettare domani?»

«No, no, sennò impazzisco, te l’ho detto.» Italia sciolse l’abbraccio, scivolò indietro e si tirò su, accovacciandosi sulle ginocchia e facendo cigolare il materasso. «Impazzisco, poi mi vengono gli incubi, e dentro gli incubi vengono ad assalirmi…»

«Le mozzarelle-zombie, ho capito.»

«Le ciliegine di mozzarella che ti si incollano addosso tipo zecche-zombie, sì. E poi c’è anche il burrone di Grana Padano» specificò Italia, annuendo. «Quello è il peggiore di tutti. Non devi dimenticarti del burrone di Grana Padano e delle sabbie mobili di ricotta e fontina.»

«Lo immagino.» Germania tornò a rotolarsi sulla schiena. Lo sguardo dolorante e fisso sulle strisce di luce notturna che traballavano attraverso i lampeggi della sua vista stanca e appannata. Si portò entrambe le mani alla testa per massaggiarsi le tempie, alleviare anche solo di poco la pressione di quel pulsante reticolo di emicrania che gli era indigesto proprio come un piatto di gnocchi al formaggio divorati alle tre del mattino. «Basta che fai silenzio.» Fu la sentenza tramite cui Germania dichiarò la sua resa. Il suo armistizio firmato col sangue. «E che non…»

«Yuppie!» Italia schizzò fuori dal letto, travolse la porta che sbatté e rimbalzò sul muro, e volò verso la cucina.

Germania acchiappò al volo il lembo di coperta che era sventolato all’aria dopo che Italia lo aveva calciato via per saltare giù dal letto. Corrugò la fronte e scagliò sulla fuga di Italia, sulla scia di fumo sgasata dalla sua corsa, un duro e cocente sguardo di ammonimento. «E non lasciare il lavello pieno di piatti e posate.» Uno sguardo che, tuttavia, così infiacchito dalle occhiaie dell’insonnia, non si mostrava minaccioso come avrebbe voluto essere. «Lava tutto prima di tornare a letto.»

Un eco cinguettante di Italia canticchiò dal fondo del corridoio. «Agli ordini, Capitano.» I suoi passi nudi rallentarono, frenarono sul parquet, «Oh…», e il suo zampettare scalzo tornò indietro. Preceduto dall’allungarsi della sua ombra, il profilo di Italia tornò ad affacciarsi alla soglia della camera da letto. «Ne vuoi un piatto anche tu?» Il suo sorriso roseo e ingolosito era l’invito più dolce, quello più accattivante. Avrebbe fatto venire fame persino a un monaco tibetano a digiuno da vent’anni. «Ce ne sono abbastanza per tutti e due.»

Germania scosse la testa. «Non vedo proprio come si possa digerire un piatto di gnocchi al formaggio alle tre del mattino.» Sprimacciò il cuscino dentro cui sperava di poter sprofondare. E sperò anche che appoggiarvi la guancia sopra sarebbe bastato per farsi riabbracciare dal sonno. «Credo proprio che cercherò di riaddormentarmi.» Tirò su la coperta fino alle spalle, ne lisciò qualche grinza. «Tu cerca solo di non fare troppo rumore.»

Italia sospirò, «Oh», e il suo sorriso appassì in un’espressione tanto delusa che persino il ciuffo arricciato gli si ammosciò sulla spalla. Si ridestò. Tornò ad allungare un passo in direzione della cucina, scosse un breve saluto rivolto a Germania. «Se cambi idea ti aspetto in cucina.» E si avviò, inseguito dall’eco gioioso e trotterellante dei suoi piedi nudi che schiaffeggiarono il pavimento.

Germania serrò le palpebre e strizzò le mani sulla coperta in cui era avvolto.

Concentrati. Adesso dormi. Concentrati.

Il suo orecchio fremette, pizzicato dai rumori che dalla cucina rimbalzarono fino alla camera da letto.

La luce si accese con un click!, e le palpebre di Germania, rivolte alla porta rimasta aperta dopo essere stata travolta da Italia, vennero colpite dal caldo riverbero che inondò la traversata del corridoio, arrivando a riempire e abbagliare anche la soglia della camera da letto.

Germania soppresse un grugnito. Strinse il cuscino attorno alla testa e si rotolò sull’altro fianco, dando la schiena alla porta aperta che non aveva intenzione di andare a chiudere. La sua unica intenzione infatti era quella di cadenzare una serie di respiri lenti e regolari, rilassare la tensione dei muscoli, estraniarsi dal trambusto che si stava consumando in cucina, e tornare a prendere sonno fino al suono della sveglia, in modo da cominciare la giornata senza occhiaie, fresco e riposato come un bocciolo di rosa. Povero allocco.

Dalla cucina, la porta del frigorifero si aprì facendo dondolare un coro di tintinnii di bottiglie e barattoli di vetro. Ci fu il frugare di qualcosa che veniva spostato, forse una vaschetta, o un impacco di carta, poi uno squittio di gioia canticchiato da Italia, probabilmente perché aveva appena trovato quello che cercava. Gli gnocchi avanzati? La vaschetta di gorgonzola fresco? Chi poteva saperlo.

Altri rumori bussarono all’udito di Germania. Qualcosa che veniva spostato fra gli scaffali del frigorifero, facendoli ballonzolare. Qualcos’altro che scricchiolò, come carta sfogliata, e un basso borbottio di Italia. «… e anche questo, vediamo se – ah, che bello ce n’è ancora. Ciao, signor pecorino, che bello vederti, credevo mi avessi abbandonato.» Un colpetto, forse battuto con la punta di un piede, dato che Italia doveva avere le mani occupate, seguito dal vibrare dell’anta del frigorifero che si chiuse accompagnata sempre dallo squillante traballare di barattoli e bottiglie di vetro.

Altri passetti. Ad aprirsi, questa volta, fu l’anta della credenza. Ci fu un rovistare di padelle, lo stridio metallico di quando vennero appoggiate sulle griglie dei fornelli. La soave vocina di Italia attaccò a canticchiare. «Gnocchi col go-go-gorgonzola. Go-go-go-gorgonzola.» Lo scroscio del rubinetto riempì d’acqua una delle padelle, forse quella che sarebbe servita per far bollire gli gnocchi. «Ci spolveriamo il Pa-Pa-Parmigiano. Re-Re-Reggiano.» Il rubinetto si chiuse e lo scroscio d’acqua s’interruppe. Italia appoggiò la pentola sul fornello. Accese il click, click del gas, seguito dalla piccola vampata della coroncina di fiamme che ne accarezzò il fondo. «Facciamo bollire l’acqua, acqua, acqua. Quante bollicine-ine-ine.»

Germania riaprì le palpebre, si morsicò il labbro e soppresse un lungo ed esausto sospiro nell’imbottitura del cuscino tutta sprimacciata attorno alle sue guance, perché ormai aveva già fiutato l’aria che tirava. Non poteva farcela. Era troppo anche per lui.

Rinunciò al sonno, rinunciò alla tiepida e accogliente visione delle acque dei suoi sogni che si innalzavano, rapendolo e trascinandolo in un silenzioso fondale dove regnavano la pace il riposo. Ma Germania sapeva che rinunciare al sonno non significava rinunciare a essere produttivi. 

Si tornò a girare sulla schiena. Strinse gli occhi, isolandosi ancora una volta dai rumori della cucina, dal riverbero di luce che bruciava sulla soglia della camera da letto, e diede ordine ai piccoli e laboriosi operai che abitavano gli uffici e gli archivi del suo cervello di rimboccarsi le maniche, di sgranchirsi mani e spalle, e di dare il via a un’operazione di ripasso straordinario per prepararsi alla riunione del mattino successivo.

Anche Italia proseguì con i suoi programmi e i suoi preparativi. Era laborioso, a modo suo. Bisognava rendergliene atto. «Preparo la salsa» cinguettò la sua allegra voce da fringuello. «Salsa al for-for-formaggio. Ci metto un po’ di panna? Sì che ci metto un po’ di panna, panna. Panna da cucina-ina-ina.» Sventolò lo sbatacchiare del mestolo sul bordo della padella metallica, forse per sgocciolare del formaggio, o la panna appena versata. Uno schiocco delle sue labbra, seguito da un ghiotto «Mhm!», come se avesse appena assaggiato qualcosa di gustoso.

I piccoli operai che abitavano il quartier generale del cervello di Germania, intanto, scartabellarono i fascicoli appena sfilati dai cassetti dei grandi archivi alti fino al soffitto. Si bagnarono i pollici, sfogliarono i grafici, li inserirono nei proiettori, e uno dei sergenti sventolò la sua bacchetta per guidare tutti nel ripasso degli appunti. Le coordinate delle politiche economiche e di bilancio erano gli argomenti di cui avrebbe trattato nella prima parte del suo discorso.

Senza dimenticarsi della questione dei rapporti internazionali con le politiche degli altri Paesi. Su un livello puramente fiscale, poi…

Italia si fece scivolare qualcosa, lo squillo metallico di una posata che colpì il pavimento. «Acc…» Si piegò a raccoglierla, ma nell’intento la urtò e la calciò ancora più lontano, forse contro le gambe del tavolo o una delle credenze.

Una sua esclamazione di esultanza, «A-ah!», fece capire a Germania che l’aveva riacchiappata. «Presa.» E la gioia fischiettata dal suo canto accompagnò il rovistare del mestolo dentro una delle padelle. «Emmental, fontina, taleggio…»

Germania inspirò, strinse forte le palpebre, si appese con mani tremanti alla coperta tirata fino al mento, e rimise in moto gli ingranaggi del suo quartier generale, schioccò la frusta per riportare ordine nel plotone di operai.

Su un livello fiscale…

Il Sergente Maggiore che stava illustrando i grafici però riscontrò qualche difficoltà con il proiettore. Fu costretto a picchiettarci sopra il pugno per far saltare l’immagine e passare a quella successiva.

Concentrazione, insomma! riecheggiò l’ordine di Germania. Su un livello fiscale, bisogna puntare sull’arrangiamento del mercato unico, favorire la libera circolazione, discutere di come si sta evolvendo l’economia digitale in rapporto a… 

Dalla cucina, due cassetti si aprirono in successione. Un frugare squillante di posate, e di nuovo una padella che veniva appoggiata sui fornelli, facendo tentennare la grata.

Da includere anche lo sfruttamento etico delle risorse, garantire poi un approvvigionamento economico sostenibile ma a prezzi accessibili, e per questo bisognerà prediligere un’economia circolare, l’utilizzo di materiali sostenibili, e…

Qualcos’altro ruzzolò sul pavimento, fece ansimare Italia, «Ah!», che poi andò a sbattere sullo spigolo del tavolo, forse nel tentativo di recuperare qualunque cosa gli fosse caduta.

Nel quartier generale di Germania, il proiettore di grafici sobbalzò sotto l’ultimo pugno del Sergente Maggiore. Invece che i dati analitici che gli sarebbero serviti al ripasso, il proiettore spalancò le immagini più disastrose e catastrofiche, suscitando un coro di ansimi terrorizzati fra gli operai che assistevano. Un paio fra loro si abbracciarono, sostenendosi e proteggendosi a vicenda, «No, non posso guardare». Padelle sporche impilate sul ripiano di cottura, macchie di formaggio e di burro bruciacchiato che fiorivano tutt’attorno ai fornelli anneriti, torri su torri pendenti di piatti accumulati nel lavello, mazzi di mestoli e di posate che ristagnavano nell’acqua biancastra e oleosa, vaschette di formaggio ormai vuote che straripavano dal cesto della spazzatura circondato da uno sciame di mosche.

Germania si schiaffeggiò entrambe le mani sulle guance, serrò la mandibola e tuonò un ordine che richiamò gli sguardi e l’attenzione di tutti: concentrazione! Stavamo dicendo, circolazione del mercato unico, poi relazioni commerciali con i partner internazionali, circolarità dell’economia per prevenire…

Lo scosse un altro rumore dalla cucina: lo sbatacchiare di una posata su una pentola, poi un tuffo metallico che saltò fra le pareti del lavello.

Per prevenire… le posate incrostate!

Posate talmente incrostate che per pulirle non sarebbero bastate la spugna o la pagliuzza, ma sarebbe servita una smerigliatrice. A quell’immagine si aggiunse quella del gocciolio del rubinetto che si accumulava nel bacino di acqua sporca dentro cui i piatti erano pigramente lasciati in ammollo, nell’oceano del loro stesso sporco da cui si diffondeva l’olezzo pungente di sgrassatore, di detersivo, di aceto, di spugna macchiata di nerofumo, e…

Germania fece scivolare le mani dalle guance. Allargò le narici, cauto, sempre a occhi chiusi, e fiutò un paio di respiri. Il profumino che gli scivolò sotto il naso, solleticandolo, era ben lontano dal nero tanfo di sporco che si era materializzato nei suoi incubi. 

Al di là del gorgoglio dell’acqua che cominciava a bollire e a scuotere il pentolone, qualcosa sfrigolò. Un delizioso profumino di burro abbrustolito, forse, o di formaggio stagionato che cominciava a sciogliersi, a filare come lana nell’arcolaio. Quel dolce profumo di formaggio fece sorgere il bagliore di un’aura dorata che accompagnò la sua attraversata lungo il corridoio, illuminò le pareti della camera da letto, e si adagiò fra le coperte, al fianco di Germania. Un vaporoso indice giocherellone disegnò un piccolo cerchio attorno al suo orecchio, salì a stuzzicargli la guancia, il naso, e fece sbocciare il formicolio di un languorino che gorgogliò in fondo alla sua pancia.

Era un profumo dolce ma allo stesso tempo pungente, caldo come un abbraccio di Italia durante certe notti in cui lui si lasciava scivolare al fianco di Germania posandogli la guancia sulla spalla e scuotendo i piedi fra i suoi, circondandolo in una marea di coccole che erano familiari e confortevoli proprio come il sapore di un buon formaggio di montagna cotto alla brace. Era il profumo di certi suoi baci. Un profumo tiepido e soffice come la sua pelle, come le curve delle sue guance. Un profumino avvolgente come lo erano le sue cosce quando gli si accavallavano in grembo, quando il battito del suo petto si sdraiava su quello di Germania, e le sue labbra schioccavano una rosea scia di baci lungo il collo, sotto il mento, fino a…

Germania deglutì. Guance e palato tornarono subito a salivare, lo costrinsero a inghiottire di nuovo, a strizzare sulla coperta i pugni tremanti e sudati, e a serrare i denti per mettere a tacere il brontolio sempre più feroce del suo stomaco, perché l’immagine di una grande e cremosa forchettata di gnocchi al formaggio si era appena impossessata dello schermo del suo quartier generale. Gli occhi di tutti gli operai e soldatini, compresi quelli del Sergente Maggiore, si sgranarono su di essa: la forchettata di gnocchi al formaggio si sollevava dal piatto, tesseva una gran colata filante di fontina e gorgonzola, e veniva loro incontro con la sua dorata e fumante crosticina di Parmigiano abbrustolito.

Mi vuoi, Germania, vero? bisbigliò la celestiale vocina di quella forchetta. Lo so che mi vuoi. Apri la bocca, allora.

La dolcezza del gorgonzola era il primo sapore che ti scivolava sulla lingua, seguito da quello più arrogante del Parmigiano che ti pungeva il palato e le guance. Una volta addentato il primo morso, la pasta degli gnocchi era talmente tenera da squagliarsi in bocca. Forse un po’ collosa, è vero, ma buona. Talmente buona da far luccicare gli occhi commossi e da infiammare il cuore gonfio di emozione.

Il Sergente Maggiore che presiedeva il quartier generale dovette salire su una scrivania per ergersi sopra l’orda di operai e soldatini ormai fuori controllo. «Calma!» strillò. «Manteniamo tutti la calma!» Ma molti di loro si stavano massaggiando la pancia addolorata dai crampi di fame, altri si strapparono i capelli, «Non resisto più!», altri ancora corsero in cerchio gettando i fascicoli al vento, si scontrarono e inciamparono su quelli che avevano cominciato a raccogliere e ad accumulare i cuoricini di carta che stavano esplodendo ed eruttando dai cassetti degli archivi. Uno di loro si annodò il tovagliolo al collo, tirò fuori forchetta e coltello, «Andiamo a mangiare, sì?», scatenando l’ira del Sergente Maggiore che si prese la testa ribollente fra le mani, «Siete tutti un branco di lavativi!». Uno di quelli che stavano correndo in cerchio inciampò su uno dei cuori contrassegnati dalla scritta “fame”, cadde sul proiettore che si ribaltò, infrangendo non solo la fantasia di gnocchi al formaggio ma anche l’ultimo briciolo di autocontrollo in possesso di Germania.

Germania gemette, frustrato, e calciò via la coperta. Si mise seduto sul bordo del letto e strinse i pugni attorno alla testa, sconfitto e piegato dai crampi di fame che gli avevano atterrato lo spirito e sfinito le carni. Distese le dita e si massaggiò la fronte, stropicciò le palpebre, e sospirò di nuovo, rabbrividendo. Da dietro le mani ancora accostate al viso, sbirciò alle sue spalle la porta socchiusa, la luce della cucina che si propagava dal corridoio così come lo spadellare delle posate, il gorgogliare dell’acqua di cottura, e la voce canticchiante di Italia che ora stava accompagnando lo sfogliare della carta stagnola, forse per recuperare dell’altro formaggio da una vaschetta, o per scoperchiare gli gnocchi avanzati che avrebbe messo a bollire.

Germania si alzò dal letto, si fece prendere per mano dal vaporoso profumo di formaggio fuso che gli danzò attorno come una ninfa sulla superficie di un lago, o come una fatina che svolazza sulla corolla di un fiore. Seguendo la tentazione di quel profumo, di quella danza al sapore di gnocchi di patate e Parmigiano, fece il soldato coraggioso e andò incontro al suo destino. All’invincibile richiamo della sua fame.

Chapter 2: 2

Summary:

Germany finally gives up. Despite the protests of the little workers and soldiers living inside his thoughts, he can't resist the voice of cheese and gnocchi, not anymore. He helps Italy in the kitchen, and both of them enjoy that strange and unusual (but somehow lovely) late night dinner.

But, at the end of the meal... Italy's still hungry.


 

Notes:

I managed to join Chapter 2 with Chapter 3, so the story is now only three chapters long instead of four chapters long. This means that today there is more on the plate! 

I really hope you're hungry. (˵ ¬ᴗ¬˵)


 

Chapter Text

2


 


 

Italia fece molleggiare il peso da un piede all’altro, aprì e richiuse un cassetto del ripiano della cucina su cui già sibilavano le fiammelle azzurre dei fornelli accesi. Fece rimbalzare da una mano all’altra il cucchiaio che aveva appena pescato dal cassetto. Canticchiando a bocca chiusa, mescolò la crema di formaggio fuso che stava facendo sciogliere e scaldare nel pentolino messo a cuocere a bagnomaria. Il profumo che gorgogliava ed evaporava dal pentolino spanse un riverbero dolce e dorato come la luce del lampadario che era spalancata sulla tavola già apparecchiata.

Italia sollevò il cucchiaino dalla pentola, fece filare il formaggio come lana tessuta sul fuso di un arcolaio. Arricciò il nastro di formaggio attorno al cucchiaio, ci aprì la mano sotto per non farlo gocciolare, e se lo portò alle labbra, assaggiandolo. Attraversato da un brivido di piacere, Italia si spinse sulle punte dei piedi scalzi, mugugnò un sospiro che gli chiazzò le guance di rosso, fece schioccare la lingua più volte, e sollevò lo sguardo fra le sopracciglia corrugate. Squisito, certo, ma c’era ancora qualcosa che mancava. «Mhm…» Si posò l’indice sulla guancia. Arricciò le labbra da una parte all’altra, tornò a impastare il sapore della salsa di formaggio fra lingua e palato, e annuì. «Magari aggiungo ancora un cucchiaino di gorgonzola.»

Pescò non una, ma ben due cucchiaiate di gorgonzola dalla vaschetta. Raschiando sul fondo, notò come ne sarebbe avanzata una quantità misera, grande poco meno di una nocciolina, così Italia scrollò le spalle, ribaltò la vaschetta di gorgonzola sopra i fumi del pentolino ribollente, e ci rovesciò dentro fino all’ultima goccia di cremoso formaggio dolce. Abbracciò quella decisione leccandosi le labbra e sfoggiando un gran sorriso. «E in fondo non è mai esistita la frase “c’è troppo gorgonzola” quando si cucina.» Una massima che il giorno dopo avrebbe scarabocchiato fra le righe del taccuino in cui collezionava tutte le frasi che gli riaccendevano l’ispirazione nei periodi più nebbiosi e drenanti, o che gli facevano tornare il buonumore anche nei giorni più grigi e depressi. Una frase che in effetti avrebbe dovuto ricamare a punto croce e poi incorniciare e appendere alla parete del soggiorno, sopra il divano.

Italia gettò nella spazzatura la vaschetta svuotata di gorgonzola e allungò il braccio per acchiappare al volo il mestolo di legno che stava rotolando giù dal ripiano della cucina. «Ops!» Rimesso a posto il mestolo, sbirciò sotto il coperchio del pentolone più grande, quello dentro cui stava ribollendo l’acqua di cottura per gli gnocchi. Strinse gli occhi e sventolò una mano per respingere il bianco e colloso sbuffo di vapore che gli era soffiato in faccia. Abbassò la fiamma del fornello, si asciugò le mani sullo strofinaccio pulito, e ricominciò a mescolare la crema di formaggi sciolti a bagnomaria, a far tintinnare il cucchiaio fra le pareti del pentolino. Erano le tre di notte, ma lui era fresco e laborioso come se fossero state le tre del pomeriggio, come lo sarebbe stato dopo aver schiacciato un pisolino, o dopo aver divorato una merenda ristoratrice.

Un altro paio di piedi scalzi si trascinò fino alla soglia della cucina incorniciata dal tiepido riverbero dorato spolverato dal lampadario a soffitto. I passi si fermarono lì dove si formò e si allungò l’ombra di Germania che attraversò il tavolo, le seggiole, e che toccò il piano cottura davanti a cui Italia stava lavorando e canticchiando.

Italia – il cucchiaio fra le labbra – abbassò lo sguardo accorgendosi del cambiamento di luce, di quell’ombra che si era allungata sul muro e sulle tendine socchiuse. «Oh.» Si girò compiendo una piroetta sulla punta di un piede. Sorrise a Germania, e il suo cuore si aprì a un battito di tenerezza davanti alla sua figura così insolitamente scomposta, alla maglietta stropicciata fuori dall’orlo dei calzoncini. Italia sorrise anche quando Germania si passò una mano fra i capelli spettinati e si strofinò le palpebre, come un bimbo stordito dal sonno che si trascina giù dal letto per un bicchiere d’acqua. Fu un’immagine che gli strinse il petto lasciandogli dentro un battito di nostalgia. «Ma allora ti sei alzato?» Una bolla di formaggio esplose nel pentolino, così Italia abbassò il fuoco del fornello. «Ah, scusa, non è mica colpa mia, vero? Sto facendo troppo rumore con le pentole?»

Germania fece scivolare dal viso la mano con cui si era strofinato le palpebre rigonfie e luccicanti di sonno. Sospirò a bocca chiusa. «Mh.» Tirò all’indietro i capelli che però tornarono a rimbalzargli sulla fronte. Si diede una grattata alla nuca, un massaggiata al collo. «N-no…» Aveva le guance rosee e tondeggianti come confetti. Non erano né pallide né incavate come avrebbero potuto essere quelle di un poveraccio morto di sonno. «Non importa.» Si concesse un altro sospiro, questa volta raccolto a palpebre socchiuse e a mento alto, la punta del naso rivolta al tiepido profumo di Parmigiano e gorgonzola che galleggiava fra le pareti della cucina che quell’aroma rendeva dorate e luminose come durante un mezzogiorno estivo. «Ormai ero già sveglio.»

Italia gli rivolse un sorriso pieno di comprensione. Ci avrebbe pensato lui, certo che sì.

Scivolò di un passo indietro e inclinò il pentolino di salsa al formaggio per mostrargli la magia che si stava mescolando sotto il suo cucchiaio. «Hai fame?» Affianco a lui, il pentolone dell’acqua eruttò una bitorzoluta nube di vapore bianco che fece sobbalzare il coperchio.

Lo sguardo di Germania scivolò su tutto l’occorrente che Italia aveva già preparato – la tavola apparecchiata con la tovaglia ricamata a punto raso, la luce cristallina riflessa sui calici a stelo lungo – e sperò non si notasse troppo quella scintilla di trepidazione che era brillata attraverso la trasparenza dei suoi occhi azzurri. Germania tossicchiò davanti a un pugno chiuso. «Be’» fu costretto ad ammettere, troppo affamato per permettersi di tenere su quella sua rigida maschera di stoicismo. «Un po’, sì.» Fingendo di star lisciando e sistemando la maglietta sgualcita, si strofinò la mano sulla pancia, sul borbottio ingolosito del suo stomaco che stava bussando sempre più impaziente. «C’è un buon profumo.»

Il sorriso di Italia gli chiazzò le guance dello stesso rosso che lo infiammava quando Germania lo lodava per l’esito di un buon bilancio economico, per la gestione della rete del mercato internazionale, o magari alla fine di un allenamento particolarmente intenso che però Italia aveva terminato senza mai lagnarsi. Italia lo fece avvicinare con uno sventolio della mano. «Dai, dai» lo chiamò. «Vieni, ché è quasi pronto. L’acqua ha appena cominciato a bollire.» Messo giù il cucchiaino sporco di formaggio, sollevò il coperchio del pentolone d’acqua, sventolò una presina per dissolvere il gran ruggire del fumo, diede una sbirciata alla superficie resa bitorzoluta dal canto delle bolle, e annuì senza tornare a tapparla. Sfogliò la stagnola dal piatto di gnocchi avanzati e imbiancati da una sottilissima spolverata di farina. «Dieci minuti ed è pronto in tavola. Uhm, ma dov’è che ho messo la schiumarola?»

Germania, attraversando la cucina e passando affianco al ronzio del frigorifero, si fece scivolare la mano dalla nuca e buttò di nuovo un occhio sul tavolo. Notò come Italia avesse già apparecchiato per due, prima ancora di sapere che lui avrebbe raggiunto per mangiare gli gnocchi assieme.

Se cambi idea ti aspetto in cucina.”

Fu una visione che toccò Germania come una soffice e tenera carezza, come un caldo bacio schioccato sulla guancia. Un sentimento dolce e tiepido proprio come quel primo sbuffo al profumo di panna e fontina che gli aveva solleticato il naso quando lui si trovava ancora con la testa sul cuscino e la coperta tirata fino al mento. 

Italia aveva usato i piatti del servizio di porcellana bianca decorati da un doppio bordo di filigrana dorata tutta cucita a rombi. I piatti che di solito tiravano fuori dalla credenza per festeggiare Pasqua, o San Valentino, appaiandoli a calici di cristallo boemo che avevano acquistato assieme durante una gita nei piccoli borghi campagnoli della Repubblica Ceca, come se anche quella notte ci fosse stata da celebrare la più speciale delle occasioni. E forse era proprio così. Mancavano solo le luci tremule del candelabro d’argento, una singola rosa rossa infilata in un vecchio fiasco di vino, e gli archi di un concerto di Vivaldi come colonna sonora.

Italia gli fece spazio ai fornelli su cui adesso erano piazzate ben tre pentole, una diversa dall’altra. Italia recuperò una piccola spatola dal cassetto delle posate, scoperchiò una scatola smaltata da cui snocciolò un tocchetto di burro che fece poi cadere nella padella più bassa e larga. Abbassò la fiamma al minimo, agguantò il manico con una presina, e fece roteare il burro sulla piastra, lasciandolo sciogliere e sfrigolare. «Il gorgonzola l’ho messo tutto.» Tornò ad appoggiare la padella sul fuoco e finì di distribuire il burro sciolto usando il mestolo di legno. «Tutto quello che avevamo. Con la fontina invece ho cercato di non esagerare, dato che ha un sapore più forte. Non sapevo nemmeno che ce ne fosse ancora di avanzata sul fondo del frigo. Oh, be’, la fontina stagionata è davvero squisita, quindi sono contento che non sia andata sprecata. Ah, e poi il Parmigiano grattato sottile.» Soffiò una ridacchiata – la ridacchiata complice di chi sta per spifferare un gran segreto – e strizzò a Germania un occhiolino scintillante. «Come piace a te.»

Germania batté le palpebre e fissò basito la quantità di ingredienti che Italia era riuscito a radunare in così poco tempo: gli gnocchi, i formaggi ognuno nella sua vaschetta, il burro, pentole e mestoli, e persino i piatti e i calici abbinati. Magari fosse stato così organizzato e diligente anche quando di trattava di politica. «Avevamo sul serio tutti questi formaggi in frigo?»

Italia sgocciolò il mestolo sul bordo della padella e strabuzzò un’espressione sbalordita. «Ma non sono mica tanti.» Come avrebbe fatto impugnando una bacchetta, sventolò il mestolo di legno indicando ciascuno di loro. «Fontina, Parmigiano e gorgonzola. Saranno tre anziché quattro. Ma fidati…» Batté la mano sul petto tutto gonfio e fiero. «Cucinerò lo stesso una salsa deliziosa. Ah, poi guarda…» Mostrò a Germania il piccolo bricco di panna da cucina che lui aveva già quasi del tutto spremuto e prosciugato. Una gocciolina di panna rappresa aveva attraversato la fotografia sul fronte che raffigurava un tortellino infilzato da una forchetta. «Ci ho aggiunto anche della panna da cucina, così la salsa sarà più cremosa e delicata e non farai fatica a digerirla. Sentirai che delizia. Ecco, ecco, la panna da cucina potrebbe essere il nostro quarto formaggio – un formaggio bonus!» Rinnovò una complice strizzata d’occhio. «Sarà la nostra ricetta segreta e speciale. Aggiungendo la panna, poi, la salsa è venuta anche più abbondante.» Dal pentolino esplose e schizzò un’altra bolla di formaggio fuso. Italia passò l’indice sopra la goccia che era piovuta a macchiare il piano cottura. «Quanta salsa al formaggio vuoi sugli gnocchi?» Succhiò l’indice con cui aveva raccolto lo zampillo ai quattro formaggi, fece schioccare le labbra sulla punta. «Tanto o tantissimo?»

Germania si sporse a sbirciare il pentolino ribollente. La salsa aveva un aspetto vellutato e invitante, lo stesso colore del burro che Italia aveva appena fatto sciogliere sulla piastra più larga. Il profumo delicato, per nulla pungente nonostante la spolverata di Parmigiano stagionato. «Direi la quantità ragionevole.»

Italia rimbalzò sulle punte dei piedi e ammiccò con le sopracciglia. «Quindi tantissi-missimo.» Mostrò l’okay formando un ovale con pollice e indice. «Aggiudicato!»

Germania aggrottò la fronte e rispose con un sospiro sufficientemente eloquente. «Italia…»

Italia strinse la punta della lingua fra i denti e spernacchiò una di quelle risate birbantelle che soffiava quando si divertiva a prendere un po’ in giro Germania. Gli affidò il manico del pentolino più piccolo, quello dove la salsa al formaggio stava assumendo la consistenza liscia e cremosa di una fonduta svizzera. «Vieni, ecco, prendi tu.» E nell’altra mano gli porse anche il cucchiaio a stelo lungo. «Mescola un po’ la salsa, così io intanto sto attento che non si bruci il burro per quando ci faremo saltare gli gnocchi.» Fece di nuovo roteare la padella larga e bassa dentro cui la piccola onda di burro sfrigolò, si rovesciò, assunse un colorito bruno, e spanse un buon profumino croccante e caramellato. «Ho preferito preparare i formaggi a bagnomaria e non nel microonde, perché sai quanto io odio cucinare con il microonde. È così poco romantico.» Si posò la mano sul petto, raccogliendo così un grave sospiro pianto dal cuore. «E il cibo non può sentire tutto il tuo affetto e la tua cura se lo chiudi dietro uno sportello e lo fai girare sotto una luce che fa bzzz. Poi sbaglio sempre la potenza, o calcolo male i minuti, e così finisco sempre per combinare qualche disastro. Ti ricordi quella volta che ho fatto esplodere gli avanzi dei panzerotti? A bagnomaria è tutto più facile, ci si accorge subito se sta venendo bene o no, come con il cioccolato fuso. Ecco, ecco, fai così…» Italia avvolse il polso di Germania e guidò la mano con cui stava impugnando il cucchiaio, gli mostrò il giusto movimento dal basso verso l’alto. «Adesso è quasi al punto giusto. Continua a mescolarlo dal basso verso l’alto, come con gli albumi montati. Tieni la fiamma al minimo, così non si brucia e i formaggi non si separano prima che – oh, è vero.» Fece schioccare un battito di mani che gli accese un bagliore nello sguardo. «C’è l’acqua che bolle!» Saltando di un solo passetto di lato, soffiò sul pentolone d’acqua, sventolò di nuovo la presina per diradare il vapore, e finalmente immerse gli gnocchi con la stessa schiumarola con cui li avrebbe raccolti una volta cotti, una manciata alla volta. 

Quando tutti gli gnocchi si fecero un bel tuffo nell’acqua di cottura, Italia diede una sola profonda mescolata nel pentolone, li lasciò a riposo, e andò a grattugiare dell’altro Parmigiano fresco nella scodella da cui lui e Germania avrebbero attinto per il condimento finale. Approfittando della vicinanza, Italia ne aggiunse qualche cucchiaino anche alla salsa che Germania stava diligentemente continuando a mescolare dal basso verso l’alto, con metodo e lentezza, come gli era stato detto. Gli occhi di Italia seguirono la nevicata di formaggio fino a quando non si sciolse nel gorgo. La mano con cui distribuì le cucchiaiate era ferma e precisa come quella di un orafo che incastona una piccola composizione di diamanti sul fronte di una tiara regale. «Di Parmigiano ne lascio anche un po’ da parte, nella sua scodella, così lo spolveriamo sugli gnocchi già pronti come tocco finale, d’accordo?»

Germania annuì. «Mi affido al tuo gusto.» E diede un’altra lenta mescolata, stando attento a non urtare la mano di Italia così vicina alla sua. Il suo braccio aveva tremato leggermente e il polso era rabbrividito, perché lo sguardo così intenso che aveva scorto attraverso gli occhi di Italia gli aveva strappato un piccolo ma profondo battito di emozione, così come l’aver percepito il tocco della sua mano tiepida e sottile avvolgergli il polso.

Italia scorse il rossore che si era appena depositato sulle guance di Germania e sorrise, ragionevolmente soddisfatto. Raccolse il cucchiaino dalla sua mano, diede anche lui una mescolata più svelta e vivace a cui la salsa al formaggio rispose rigurgitando una bolla di vapore bianco e leggermente pungente che sprigionò tutto l’aroma del Parmigiano stagionato appena grattugiato. «Sentiamo se il Parmigiano si è sciolto bene.» Soffiò su una cucchiaiata di salsa, la assaggiò, fece schioccare la lingua sul palato, e i suoi occhi si accesero come due stelle appena nate. «Oh.» Italia avvolse una mano attorno alla guancia su cui era pizzicato il rosso calore di tutta quell’emozione. «È buono, sì.» Un altro schiocco di labbra. «Dolce.» Lo disse stupendosi. Pescò un’altra cucchiaiata, più abbondante della precedente, e la sollevò fino alle labbra di Germania. «Ecco, assaggia anche tu. Apri grande.»

Germania dovette comunque piegarsi per arrivare all’altezza del cucchiaio. Ci soffiò sopra e non si fece pregare, assaggiò il boccone, si leccò una gocciolina di formaggio dal labbro, e tenne gli occhi chiusi per ascoltare il sapore di quelle note squillanti che gli scoppiettarono fra le guance. Note che fischiarono come stelle filanti, dorate come echi di campane in concerto.

Germania tossicchiò per tornare a camuffare la sua palese emozione. «Ha un buon sapore, sì.» Un sapore talmente buono e seducente da fargli dimenticare il fatto che erano le tre di notte e che i suoi unici pensieri sarebbero dovuti essere rivolti alla riunione di lavoro che si sarebbe svolta di lì a cinque ore.

Ma l’entusiasmo di Italia fu il premio più impagabile. «Sul serio?» sorrise lui. «E le dosi di formaggio vanno bene? O forse ho messo troppa panna?» Nemmeno le sue preoccupazioni sembravano essere indirizzate sul lavoro o sulle riunioni. «O troppo gorgonzola? Ho usato quello dolce, sai, perché quello piccante mi sembrava esagerato. Preferivi quello piccante?» Italia lasciò cadere e squillare il cucchiaino nel lavello. Fece roteare il piccolo cestino a due piani dove erano collezionati tutti i barattoli delle spezie che Germania aveva allineato in ordine alfabetico. «Se vuoi siamo sempre in tempo a spolverarci un po’ di pepe nero.»

Germania scosse la testa. «No, no.» Gettò un’occhiata, una stropicciata di sopracciglio, al pentolone dell’acqua sulla cui superficie gorgogliante stavano emergendo e galleggiando i primi gnocchi. «Il formaggio piccante sarebbe decisamente troppo a notte fonda.»

Italia sembrò stupito di sentirselo dire. «Ma come?» Scosse la boccetta di pepe nero che aveva già pescato dal cestino girevole. «Eppure tu reggi il piccante molto meglio di me.»

Germania raccolse le posate sporche che si erano già accumulate nel lavello e scosse il mazzo sotto il getto del rubinetto, in modo che il formaggio non s’incrostasse. «Quello dolce va benissimo.» Le sgocciolò e le lasciò lì, senza ritenere necessario dare un’insaponata o una passata di spugna. Italia aveva comunque promesso che a fine pasto avrebbe lasciato tutto pulito e lucido come il pavimento della navata della Basilica di San Pietro. «Magari non mettere troppo sale nell’acqua di cottura degli gnocchi, ecco.»

«Oh!» Italia si diede un piccolo colpetto alla fronte. «È vero» esclamò. «Gli gnocchi. Me li stavo quasi dimenticando nella pentola.»

Ebbe giusto il tempo di inforcare la schiumarola e di dare una mescolata ai bollori fumanti dell’acqua di cottura, e i primi grappoli di gnocchi vennero a galla, splendidi come pepite raccolte nel setaccio di un cercatore d’oro. Una volta scolati e sgocciolati, Italia li rovesciò nella padella più bassa e larga, così da rosolarli in quel letto di burro scoppiettante. Gli gnocchi sfrigolarono, si rassodarono e divennero più scuri, passando dall’oro a una tenue sfumatura bronzea.

Italia ne inspirò il profumo fragrante. Sollevò la padella dal fuoco, diede un colpetto di polso, e si aiutò con la schiumarola per far saltare gli gnocchi senza che rimbalzassero fuori. «Li faccio saltare nel burro e poi ci aggiungiamo la salsa di formaggio quando sono già impiattati, come fanno nei ristoranti di lusso. È un trucco che mi ha insegnato il fratellone, sai, così trattengono meglio il sugo e la salsa al formaggio non si surriscalda se viene cotta due volte in due padelle diverse.» Diede loro un’altra rigirata con la schiumarola, stando attento a non schiacciarli, e sorrise soddisfatto. Diede una leccata alle labbra che si erano già umettate di gola. «La consistenza è perfetta. Visto?» Si girò in cerca dell’approvazione di Germania. «Vedi che abbiamo fatto bene a cucinarli proprio stanotte?»

Germania lo anticipò e gli portò i due piatti da riempire. «Potevamo anche preparali ieri sera a cena» disse. «Se ci tenevi così tanto a mangiarli.»

Italia spense il fuoco sotto ogni padella e riempì i piatti una mestolata alla volta. Scosse la testa. «Ma ieri sera la mia pancia non sapeva ancora di avere così tanta voglia di gnocchi al formaggio.»

Germania inarcò un sopracciglio, «Giusto», non del tutto convinto, ma ormai aveva imparato a non porsi troppe domande sui ragionamenti di Italia. Piegò il braccio e spostò di poco il piatto che reggeva con la mano destra, in modo che uno degli gnocchi appena versati da Italia non cadesse a terra dopo essere rimbalzato sul bordo. «Ieri a cena infatti avevi tutta quella voglia di cotoletta impanata.»

La pancia di Italia gorgogliò, solleticata da quel ricordo tanto piacevole, dal profumino di panatura croccante che ancora aleggiava fra le pareti della cucina. «Perché così l’abbiamo mangiata con il tuo contorno di verdure saltate. E tu sei così bravo a prepararle senza che le patate si riducano a un purè.» Versò altri gnocchi nel secondo piatto che aveva appena cominciato a riempire. «Ne è valsa la pena, vero? Giuro che la prossima volta decidi tu cosa mangiare a cena.» Sbatacchiò l’ultima mestolata di gnocchi distribuendola a metà fra un piatto e l’altro. Lasciò tutto nelle mani di Germania e volò al frigorifero. «Prendo da bere.» Spalancò l’anta e smosse il dondolio squillante delle bottiglie e dei barattoli di vetro.

Abbassandosi a fronteggiare i vari scomparti, Italia si ritrovò inondato da un riverbero freddo e azzurrino che fece sembrare la sua pelle quasi trasparente. Spostò i vasetti di yogurt, le uova. Sollevò la terrina con gli avanzi del tiramisù e frugò fra le bottiglie di succo di frutta e di latte fresco. «C’è acqua frizzante, dell’acqua tonica, oppure…» Le sue mani raggiunsero una bottiglia infilata nel cantuccio più basso e nascosto del frigo. «Oh, che idea!» Tirandosi su, Italia mostrò a Germania una bottiglia di vino rosso, un Cannonau di Sardegna abbracciato da un’etichetta nera e porpora. «Stappiamo una bottiglia di rosso?» Un gran bagliore dorato fece splendere i suoi occhi come se il sole là fuori fosse già albeggiato. «Sai che buono con gli gnocchi al gorgonzola.»

Germania appoggiò i piatti sul piano cottura, prima di bruciarsi i palmi con i fondi che scottavano e prima di rischiare di farli cadere entrambi. Scoccò uno sguardo scettico alla bottiglia di vino cullata fra le mani di Italia, stropicciò una palpebra. Vino? «Sono le tre di notte, Italia.»

Italia strinse la bottiglia al petto, chiuse la boccuccia a cuore, fece luccicare gli occhi, e lasciò scivolare una vocina tutta zuccherosa come una sbrodolata di miele. «Solo un goccio, daaai.» Cullò la bottiglia e indicò il tavolo con un’alzata del mento. «Ho anche già apparecchiato con i calici.»

Germania incrociò le braccia al petto e si corazzò dietro quel muro di intransigenza che avrebbe dovuto innalzare anche poco prima, in effetti. «Guarda che non ho nessuna intenzione di buttarti giù dal letto, se domani mattina sarai troppo intontito per alzarti da solo.»

Italia allungò una grigia smorfia immusonita, lasciò cadere la guancia imbronciata sulla pancia della bottiglia che stava ancora cullando, strofinò un’ultima carezza sul rilievo dell’etichetta oro e porpora, e ci disegnò sopra un piccolo cerchio con l’indice. «Uhm…» Soffiò un sospiro arreso, ma alla fine fece il bravo e tornò a infilare la bottiglia in frigo. «Mi dispiace, Signor Cannonau, sarà per un’altra volta.» La sostituì con una di Ferrarelle che era già stata stappata e sorseggiata. «Allora solo acqua frizzante, okay?» Richiuse il frigo facendo traballare il magnete a forma di bretzel sotto cui era fissata la lista della spesa, e raddrizzò quello a forma di maschera veneziana che invece sosteneva il promemoria per la riunione dell’indomani mattina e l’indirizzo dell’albergo dove gli era stato riservato il salone.

Germania ammorbidì le braccia conserte, sciolse la rigidezza delle spalle e dello sguardo, e si stupì di quanto poco fosse bastato per estinguere i capricci di Italia. Forse Italia sapeva che non era il caso di pretendere troppo altro, avendo già sgarrato sulla cena di gnocchi al formaggio alle tre del mattino.

O forse ha in mente qualcos’altro?

E quello fu un dubbio che pizzicò la nuca di Germania e che gli rizzò la peluria sulle braccia, trasmettendogli la gelida scossa di un brivido di sospetto, un saggio bisbiglio che lo ammoniva.

Germania scosse la testa e decise che, dopotutto, fosse meglio non indagare. «Manca la salsa al formaggio.»

Posata la bottiglia di Ferrarelle in tavola, Italia fece presto a dimenticare la delusione e a riguadagnare il sorriso, il bagliore di entusiasmo in fondo agli occhi. «Oh!» Raggiunse il piano cottura rimbalzando sui piedi saltellanti, e sventolò il braccio sopra la testa come uno scolaretto che chiede la parola. «Io, io, faccio io, la verso io sugli gnocchi.»

Germania si scostò per fargli spazio. «Una quantità ragionevole, mi raccomando.»

Italia diede una mescolata alla salsa che adesso era densa e calda al punto giusto. «Quindi tantissi-missimo formaggio.» Annuì. «Ricevuto.»

Germania sospirò, gramo, e Italia rise di rimando, lo toccò con una piccola e giocosa spallata, gli fece l’occhiolino. Scherzavo, dai.

La colata di fontina, panna e gorgonzola che si rovesciò dal pentolino andò a rivestire gli gnocchi come una candida e maestosa veste da sposa che viene lasciata cadere fino ai piedi. La salsa colò sul letto di gnocchi innalzando quel profumo bianco e paradisiaco che pizzicò le guance e il palato, sciogliendo un’acquolina che Germania dovette succhiare da un angolo della bocca.

Italia diede una scrollata al cucchiaino con cui si stava aiutando a distribuire la salsa, raschiò il fondo del padellino, e si assicurò che non avanzasse neanche uno schizzo. «Ecco qua.» Una goccia di formaggio fuso rigò il bordo del pentolino. Italia la raccolse con la punta dell’indice e fece schioccare un sonoro bacio sul polpastrello. I suoi occhi sorrisero, «Mhm!», e non rimaneva nient’altro da dire se non: «È pronto in tavola».


 

***


 

Italia si accomodò al suo posto, con Germania già seduto di fronte, la luce soffusa del lampadario a carezzare la tavola apparecchiata, il candore dei piatti e l’argento delle posate. Innalzò il calice di cristallo boemo riempito dalla Ferrarelle che scoppiettò in superficie, fresca ed effervescente come quel sorriso sorto a illuminargli lo sguardo. «Buon appetito.»

Germania sistemò la sua seggiola, raccolse il calice che Italia non aveva tardato a riempirgli fino all’orlo, esagerando come al suo solito, e lo accostò a quello che era già sollevato sopra i loro piatti di gnocchi. «Buon appetito.»

Toccandosi, i calici squillarono – ding! –, e gettarono un bagliore bianco, lo scricchiolare d’argento dell’acqua frizzante che zampillò dai bordi. 

Italia si dissetò con due avide sorsate e, pizzicato da quella vampata di gioia, fece oscillare il calice sotto la luce, proprio come avrebbe fatto con il vino rosso, agitando le sue sfumature color prugna e color amarena. Anche le sue guance si tinsero delle stesse sfumature rosse ed ebbre che avrebbero colorato un buon bicchiere di Cannonau sardo. «Non ti sembra proprio una vera serata da ristorante? Persino l’acqua frizzante sembra, uhm…» Si massaggiò il mento e rigirò il calice di Ferrarelle, stropicciando un’espressione tutta assorta fra le estremità delle sopracciglia. «Non so, più frizzantosa.» Annuì. «Più prelibata.» E si deliziò con un altro sorso. «Sarà che questa è un’occasione super speciale e così tutto sembra più speciale di conseguenza.» 

Dopo il brindisi, Germania aveva bevuto solo un piccolo assaggio di cortesia, tanta era l’impazienza di impugnare la forchetta e di portarsi un primo filante boccone di gnocchi alle labbra. Le parole di Italia, tuttavia, lo fermarono, e dalla forchetta già accostata alla sua bocca socchiusa gocciolò una bianca lacrima di salsa al gorgonzola. 

Un’occasione super speciale? 

Pensò che c’era da andarci cauti quando Italia sbandierava certi termini. Ma, allo stesso tempo, pensò che se era bastato un piatto di gnocchi per farlo sorridere in quel modo, come se stessero festeggiando Natale e Pasqua e Carnevale tutto in un giorno, allora doveva essere per forza un’occasione più che speciale. «Cerca solo di non ingozzarti.» Soffiò sulla forchetta e si godette quel primo boccone che gli si sciolse in bocca come un cucchiaio di panna. Un’esplosione bianca e dorata gli cantò fra guance e palato come la nota più alta e soave di un concerto lirico. Fu la visione di una colomba che volava incontro al bagliore di un sole maestoso e splendente, una cascata di coriandoli e confetti gettati all’aria durante l’applauso di un matrimonio, lo squillo di un coro di campane durante una giornata di festa.

Germania chiuse gli occhi e si concesse quell’attimo per lasciare che il sapore degli gnocchi gli riempisse la bocca e gli saziasse la pancia, scaldandogli le guance e illuminandogli i pensieri come una scrosciante pioggia di fuochi d’artificio color oro zecchino. Raccolse un’altra forchettata da cui si tesse il filare del Parmigiano fuso. Una volta assaporato, il gusto del formaggio grattugiato sugli gnocchi caldi fu davvero lo scoppiettare di una stella filante che illuminava una bianca e innevata notte di Capodanno.

Quando fu in procinto di addentare il boccone successivo, Germania tese l’orecchio e si accorse di qualcosa di insolito. Troppo silenzio dall’altro capo del tavolo. Non uno stridio di forchetta sul piatto, non una chiacchiera, e nemmeno un verso del ghiottone.

Volse lo sguardo a Italia trovandolo sorridente; il mento appoggiato sul dorso delle mani intrecciate, i brillanti e cristallini riflessi del calice d’acqua a galleggiare nei suoi occhi socchiusi, l’espressione rosea e innamorata come quando vedeva sfilare davanti a sé una bella ragazza o una teglia di pizza appena sfornata.

Germania adocchiò il suo piatto di gnocchi ancora pieno, glielo accennò con un’alzata del mento. «Ma tu non mangi?»

Italia sollevò le spalle. «Volevo lasciare a te il primo boccone.» Si sporse un poco in avanti, facendosi sfiorare la punta del naso dal fumo che saliva dal piatto. «Allora?» chiese a Germania. «Come sono?» I suoi occhioni nocciola sorrisero speranzosi, carichi di un’aspettativa e di un’emozione che gli tinse le guance del rosso più vivace. «Buoni, sì?» Scosse i piedi incrociati sotto il tavolo. «Non sono troppo densi? E la salsa al formaggio ti piace? È stata una buona idea addolcirla con un po’ di panna da cucina, vero?»

Germania si mangiò la forchettata che prima aveva solo accostato alla bocca. Strinse le punte della forchetta fra le labbra, arricciò la bocca per nascondere quella spolverata di emozione color rosa confetto che gli aveva baciato gli zigomi e le orecchie, socchiuse le palpebre per non rendere troppo palese quella luce baluginata nel profondo dei suoi occhi azzurri che adesso splendevano come fiordalisi spalancati alla fresca rugiada del mattino. Nemmeno una pallida sbavatura di sonno a contaminare quel momento. 

Germania tossicchiò. «Sono buoni, sì.» Il boccone successivo fu buono e dolce proprio come quel piccolo sorriso che gli era sbocciato fra le labbra. «Molto…» Punzecchiò una forchettata di gnocchi intingendoli nella salsa al formaggio proprio come avrebbe fatto con una fettina di pane strusciata nel sugo avanzato da un piatto di pasta, come Italia gli aveva insegnato. «Molto saporiti.»

Gli occhi di Italia splendettero e s’incantarono quasi come quelli di Germania stesso. «Sul serio?» Italia tornò a cadere seduto, impugnò la sua forchetta mirando al piatto di gnocchi che lo aspettava, e si leccò le labbra. «Allora mi ci abbuffo anch’io. Buon appetito!» Mangiò vorace e contento con la fame di un operaio che torna dal turno in fonderia dopo dodici ore di lavoro. «Mhm…» Avvolse la mano attorno alla guancia arrossata. «Che buoni» esclamò. «Stavolta mi sono proprio superato, sì, sì.» Mangiò a sazietà, godendosi la meritata soddisfazione di quel piatto di gnocchi. Ma forse, a renderlo così soddisfatto, gioioso come se si fosse scolato l’intera bottiglia di Cannonau rosso, fu il sorriso che aveva scorto attraverso le labbra di Germania. Uno di quei sorrisi speciali che persino Italia riusciva a cogliere unicamente in momenti come quelli: i più preziosi e imprevedibili. Quei sorrisi che Germania regalava solo a lui, forse proprio perché erano preziosi e imprevedibili come i loro momenti assieme. Come solo Italia sapeva essere.

Italia si servì con un’altra cucchiaiata di Parmigiano grattugiato. Lo spolverò sul suo piatto, bianco e abbondante come una nevicata sul Cervino, e offrì la scodella anche a Germania. «Vuoi ancora Parmigiano?»

Germania, che nel frattempo si era già portato alle labbra un’altra forchettata di gnocchi, sbirciò quel gesto, quell’offerta, e scosse la testa. «Sono a posto così.» Soffiò sulla sua forchetta, mangiò, e si coprì la bocca con un angolino del tovagliolo per nascondere la leccata alla salsa che gli era gocciolata sul mento. «Ce n’è a sufficienza.»

Italia alzò le spalle e approfittò di avere la scodella in mano per versare sul suo piatto un altro cucchiaino di Parmigiano perché, così come in cucina non si era mai sentita l’espressione “troppo gorgonzola” non era mai esistita nemmeno l’espressione “troppo Parmigiano”. Quando riprese a mangiare, a intingere i suoi gnocchi nella salsa filante che si stava addensando sul fondo del piatto, diede un colpetto di fianchi e avvicinò la sua seggiola allo spigolo del tavolo. I suoi piedi scalzi tornarono a dondolare, sfiorarono quelli di Germania che ora erano più vicini.

Germania scosse il piede appena toccato da quello dondolante di Italia. Senza far rumore con la sedia, senza farlo notare, mentre si gustava un altro boccone, fece anche lui lo stesso e scivolò più vicino a Italia tenendo però lo sguardo sul piatto. Adesso i loro gomiti finivano per toccarsi ogni volta in cui uno dei due muoveva il braccio per servirsi con un’altra forchettata di gnocchi. Nessuno dei due disse nulla. Solo il microscopico ma furbo sorriso di Italia tradì la complicità di quel piccolo gioco.

Italia tamburellò un tallone sul pavimento ed esclamò «Oh» sentendosi infiammare dal sapore degli gnocchi al gorgonzola e fontina che gli scivolarono in bocca e che gli saziarono il pancino, un boccone dopo l’altro. «Ascolta, ascolta, mi è venuta un’idea grandiosa.» Leccò il dorso della sua forchetta e la puntò su Germania. «Visto che non sei più così arrabbiato per lo spuntino delle tre del mattino – non sei arrabbiato, vero?»

Germania camuffò un sospiro dietro un soffio alitato sulla sua forchetta di gnocchi e rispose: «No», perché il sapore di quella delizia ai quattro formaggi avrebbe addolcito persino il cuore di un orso che viveva solitario nelle oscurità del bosco più freddo e desolato della montagna più tetra. «Non lo sono.»

Lo sguardo di Italia si distese, e lui sorrise attraverso il candore di tutta quella salsa al formaggio di cui si sarebbe subito sbafato un’altra pentolata. «Meno male. Comunque…» Continuò a mangiare, a punzecchiare i suoi gnocchi facendo stridere la forchetta sul piatto. «Dicevo, visto che anche tu ti stai godendo lo spuntino delle tre del mattino, e dato che non ti ha fatto poi così arrabbiare, potremmo anche farla diventare una specie di abitudine, o di tradizione.»

Germania aggrottò un sopracciglio e gli scoccò un’occhiata traversa. «Solo perché ho accettato questa volta non significa che lo farò anche le prossime.»

Italia fece roteare lo sguardo al soffitto. «Oh, ma dai.» Si divorò un altro boccone. Compì un altro saltello seduto per superare lo spigolo del tavolo e far scivolare la sedia ancora più vicino a quella di Germania. Si portò dietro sia piatto sia calice di acqua frizzante. «E se fosse solo per una volta al mese?» Allungò l’alluce, disegnò un piccolo solletico sul piede scalzo di Germania. «Una alla settimana?» Scosse il dito come l’ala di una farfallina. «Una volta alla settimana potrebbe andare bene. Facciamo la cena delle tre del mattino al posto della colazione a letto, se vuoi. A te non piace mai la colazione a letto. Non tanto quanto piace a me, almeno.»

Germania strinse la presa sulla sua forchetta e arrossì al pensiero, ai ricordi, e anche a quel caldo solletico che gli stava formicolando sul piede e lungo la gamba che era rabbrividita fino al ginocchio. «Perché detesto il pensiero che possano cadere briciole sulle lenzuola, o chiazze di caffè e di marmellata.» Rigirò uno gnocco nel piatto e scosse la testa. «Non riesco a godermela.»

«Uuh…» Italia ammiccò con le sopracciglia. «Allora la seconda cena alle tre del mattino sarebbe decisamente meglio, vero?» Un ultimo piccolo saltello fatto rimbalzare sulla sedia riempì la distanza che lo separava da Germania. Le loro spalle unite, le ginocchia a sfiorarsi, e un altro lieve solletico scosso dal piede di Italia che carezzò un tocco frizzante su e giù lungo la caviglia di Germania. Sulla pelle di Germania, brividi scoppiettarono come un sorso della Ferrarelle che scricchiolava e zampillava nel cristallo dei loro calici boemi. «È un buon compromesso, no? E a te piacciono i compromessi.»

Germania arricciò la punta del piede che Italia stava stuzzicando, indurì le ombrose grinze della fronte corrugata, e tirò su una granitica maschera di intransigenza. «Vedremo.» Mangiò un altro denso e cremoso boccone di gnocchi, tanto per concentrarsi su qualcos’altro, sulle sfumature dorate che gli cantarono in bocca quando sentì sciogliersi la crosticina di Parmigiano sul palato. Rispose al solletico di Italia facendo dondolare il ginocchio sul suo. «Ma non se il giorno dopo dobbiamo lavorare.»

Italia fece tornare il piede al suo posto. Alzò gli occhi al soffitto ma sorrise. «D’accordo, d’accordo.» Quando si portò alle labbra la forchettata di gnocchi successiva, dovette abbassarsi per non far gocciolare il formaggio dalla sua bocca al bordo del piatto. «Allora solo il sabato, magari. Ogni sabato?»

Germania sorseggiò dal suo calice di acqua frizzante. «Uno al mese.»

«Due sabati al mese. Anzi…» Italia posò la forchetta. «Uno sì e uno no.» Raccolse e innalzò il suo calice di Ferrarelle, sorrise a Germania da dietro il frizzare dell’acqua. «Patto?»

Germania lo sfiorò con uno sguardo, e non seppe proprio resistere a quel sorriso pacioccone che gli scaldò petto e pancia proprio come la mangiata di gnocchi che si stava godendo nella quiete della notte. Sospirò. Annuì. «E sia.» E accostò il suo calice a quello di Italia, «Patto», sigillando quella promessa tramite un acuto e squillante ding! a cui seguì una fredda e pungente sorsata di acqua frizzante. Rimettendosi a mangiare, Germania pensò che non sarebbe stato così male stappare la bottiglia di vino rosso, dopotutto. Sarebbe stato per la prossima volta, magari. Per il prossimo sabato, a quanto pareva. E la prospettiva di un altro piatto di gnocchi alle tre del mattino non gli suonò più così apocalittica.

I successivi bocconi si consumarono in silenzio. Solo il picchiettare e lo stridere delle posate sui piatti, l’occasionale strusciare dei piedi scalzi che Italia faceva dondolare sul pavimento, il ronzio del frigorifero, e un rombo che borbottò e sbuffò giù dalla strada, forse appartenente a un camion della spazzatura che aveva cominciato la ronda del mattino.

Sgranocchiato un altro boccone, Italia fece ciondolare il capo di qua e di là in un gesto che sembrava casuale, per poi lasciarlo cadere sulla spalla di Germania, spostare di poco la tempia, e lasciarlo riposare lì dove si era appoggiato. Sospirò attraverso il suo profumo di shampoo al pino alpestre e di lenzuola pulite, attraverso la vicinanza di quel gesto così semplice eppure così intimo e appagante. Semplice, intimo e appagante proprio come quella tarda cena di gnocchi che stavano condividendo loro due soli, in effetti.

Guardarono assieme attraverso lo spacco delle tendine a balze che apriva la sua luce fra il lavello e le mensole di tazze e bicchieri. Il traballare delle luci della città ancora addormentata, la violacea coroncina dell’alba che stava già sorgendo fra gli edifici, delineando i contorni dei balconi e dei comignoli. Terrazze e finestre ancora buie. Quel silenzio che per ora apparteneva solo a Italia e a Germania. A loro due e a quel delizioso spuntino di gnocchi al formaggio il cui profumo cremoso e stagionato li avrebbe accompagnati fino al giorno successivo.

Italia stropicciò un sopracciglio, socchiuse le palpebre, «Mhm», e arricciò la bocca facendo scivolare la forchetta da un angolo all’altro. «Dovremmo proprio cambiare le tende.» Infilzò un paio di gnocchi e se li gustò lentamente, succhiandoli a bocca chiusa.

Germania gli rivolse uno sguardo sorpreso. «Non ti piacciono più?» Ma, nel compiere quel gesto, non spostò neanche di un brivido la spalla su cui Italia aveva appoggiato la tempia, anche se i suoi capelli gli stavano facendo solletico al mento.

Italia strinse le spalle in un gesto leggero e indifferente. «Solo per il gusto di cambiare. Non so, quel blu non mi ispira più, ormai è passato di moda. Pensavo sarebbe bello qualcosa di più chiaro e floreale, adesso che sta arrivando la primavera.» Rigirò e punzecchiò i pochi gnocchi avanzati nel suo piatto, e li intinse nel fondo di salsa al formaggio che stava cominciando a raffreddarsi e ad addensarsi. «La prossima volta gli gnocchi li prepariamo anche con un po’ di pancetta affumicata, ti va?» Tirò su la forchetta facendo gocciolare un grumo di gorgonzola, e si gustò quel boccone con un sospiro da cui singhiozzò il sapore agrodolce di una certa malinconia. Gli gnocchi stavano finendo. Il loro piccolo angolo di pace, suo e di Germania, stava per venire attraversato dai primi focosi raggi dell’alba che l’avrebbero spezzato alla pari di un paio di forbici che lacerano la carta. «O la salsiccia rosolata?» domandò ancora Italia, per non lasciarsi intristire da quel pensiero. «Preferisci pancetta o salsiccia?»

Germania alzò le spalle senza però permettere a quel gesto di allontanare Italia, il tocco della sua guancia, e il respiro tiepido delle sue labbra che gli accarezzava il collo. «Quello che preferisci tu andrà bene.»

«Ma io preferisco quello che fa piacere a tutti e due, giuro.» Italia si rimise a schiena dritta e punzecchiò il braccio di Germania con un soffice pizzicotto. «Dai, dai.» Lo tentò con un sorriso dei suoi, uno di quelli più teneri e irresistibili. «Questa volta gli gnocchi al formaggio li ho scelti io. I prossimi li scegli tu.»

Germania, sentendosi di nuovo pizzicare da un lieve rossore arrampicato su gote e orecchie, pensò che non gli sarebbe dispiaciuto replicare la cena di gnocchi al formaggio. Ma, se proprio si trovava nella posizione di poter scegliere… «Allora salsiccia rosolata.» E si portò alle labbra la forchettata successiva.

Italia annuì. «Con un po’ di pepe?»

Germania gli annuì di rimando. «Con un po’ di pepe, sì.» Si versò dell’altra acqua frizzante. «In quel caso mi piacerebbe.»

Italia gli porse anche il suo calice, se lo fece riempire, e sollevò quello spumeggiante gorgoglio di riflessi cristallini per annunciare e festeggiare un secondo brindisi. «Speriamo di avere una fame da lupi come stanotte, allora.» Batté il calice su quello di Germania, facendo zampillare un goccio d’acqua sulla tovaglia. Sorseggiò le piccanti e scoppiettanti bollicine di Ferrarelle, sentendole squillare come sonagli d’argento fra le guance, e finì di sbafarsi la tarda cena – o colazione anticipata? – di gnocchi ai quattro formaggi. Fece dondolare i piedi contenti, sorrise a Germania e tornò a poggiargli il capo sulla spalla. Abbracciò quel brivido di amore che batté eterno come l’immortalità dei loro cuori.


 

***


 

Finito di mangiare, fu Italia che si offrì di andare a riporre i piatti nel lavello. Li impilò e li adagiò facendo attenzione che non si scheggiassero quando li sovrappose alle pentole – anch’esse impilate una sull’altra –, e ai due calici e alle posate. Aprì per qualche secondo il getto dell’acqua sulle stoviglie sporche, giusto il tempo di far scivolare via i grumi di formaggio più grossi, prima che si seccassero. Chiuso il sifone, Italia stirò le braccia sopra la testa, salì sulle punte dei piedi sgranchendosi le caviglie, e spalancò un grande sbadiglio da leoncino. «Ma che bella mangiata.» Atterrò sui talloni nudi, massaggiò una carezza sul pancino pieno e contento. La quiete del suo stomaco cullò un suo sospiro e gli arrossò le guance, lo fece galleggiare in una tiepida e nebbiosa nuvoletta di sonno che pian piano scese a pesargli sulle spalle, a chiudergli le palpebre e ad appannargli la vista.

Italia si stropicciò un occhio umidiccio. «Mhm.» Soffiò un altro sospiro dal naso. «Adesso che ho mangiato e che sono contento mi sta tornando sonno. Ma si sa che si dorme sempre meglio con la pancia piena.» Si diede un’ultima leccata alle labbra che sapevano ancora di gnocchi di patate conditi con cremosa salsa al formaggio e Parmigiano grattugiato. Fece spallucce. «Oh, be’…» Si diede una grattata sotto la maglietta e si incamminò in direzione del corridoio, già sognando il tepore delle coperte, l’accogliente abbraccio sprimacciato attorno al cuscino che stava aspettando il suo ritorno. «Spero che queste ore bastino a farmi sentire in forma per domani.»

Germania aprì il frigorifero per riporvi dentro la bottiglia di Ferrarelle assieme alla scodella di Parmigiano grattugiato. Richiusa l’anta e tenuto fermo il magnete a forma di bretzel, per non farlo cadere, buttò sull’orologio a cucù uno sguardo assonnato e nebuloso quasi quanto quello di Italia. La lancetta più lunga e sottile scandì i secondi, superò il numero dodici, e segnò lo scoccare delle quattro di mattina passate. Se Germania sbirciava fuori dalla finestra, poteva già scorgere una coroncina di alba violacea tinteggiare gli spazi di cielo nero ritagliati fra i profili delle case e dei palazzi che si ergevano al di là della strada.

Germania si girò a seguire il camminare scalzo e trascinato di Italia che si stava portando sulla soglia della cucina, già affacciato al corridoio. Alle sue spalle, rimasero trascurati il ripiano della cucina incrostato da chiazze di formaggio bruciacchiato; il lavello dentro cui erano ammucchiati i piatti sporchi e le posate, la pentola dell’acqua di cottura imbiancata dalla schiuma di amido residuo spurgata dagli gnocchi bolliti; la padella più bassa e larga dentro cui gli gnocchi erano stati fatti rosolare e saltare nel letto di burro fuso che adesso si stava solidificando in un fondo composto da macchioline torbide. Sulla cima della pila della vergogna, a raccogliere il gocciolare che lacrimava dal sifone, il pentolino più piccolo dove Italia aveva sciolto e mescolato la salsa ai quattro formaggi. Pieno a metà di acqua biancastra, emanava un odore stagnante e cagliato, non più dolce e squisito come quando era pieno della salsa calda e filante insaporita dalla nevicata di Parmigiano.

Davanti a quello spettacolo riprovevole, una nuvola di irritazione scese ad annerire la faccia di Germania che la precedente mangiata di gnocchi era riuscita a rinfrescare, a rendere rosea e distesa come la pelle di una pesca matura. «Dove vai, Italia?» Germania scagliò l’indice sul lavello strabordante di piatti sporchi, indurì le spalle e gonfiò il petto per ingrossare una voce da orso. «Avevi promesso che avresti lavato i piatti e riordinato tutta la cucina.» Usò lo stesso tono con cui rimproverava Italia quando lui arrivava in ritardo alle riunioni, o quando lasciava la sua biancheria in giro per casa, o quando frignava per evitare gli allenamenti.

Italia superò la soglia della cucina a passo leggero e svolazzante, sollevò una mano per rassicurare Germania con quel gesto, senza neanche voltarsi. «Li lavo, li lavo.» Sventolò la mano davanti alla bocca per sopprimere un altro gran sbadiglio che gli fece luccicare le ciglia. «Domani mattina.»

Germania corrugò la fronte e restrinse le palpebre spolverate da un’ombra nera. Una vena gli pulsò sulla tempia. «No, Italia.» Tornò a puntare il dito sul lavello da cui piovve un’altra gocciolina che andò a infrangere lo specchio d’acqua sporca e biancastra raccolta nel pentolino incrostato di formaggio. «Non domani mattina, e neanche domani pomeriggio. Adesso. Se lasci le pentole ammucchiate nel lavello poi faranno odore e lo sporco si incrosterà, dovrai strofinarle con la pagliuzza di alluminio e rischierai di solo di graffiarle e rovinarle. Perderanno l’aderenza.»

Italia liquidò quella sua preoccupazione stropicciandosi gli occhi e sciogliendo una breve alzata di spalle. «Spruzzaci sopra lo sgrassatore, e vedrai che non succede niente di male.» Stiracchiò la bocca in un altro sbadiglio e gettò uno sventolio di mano dietro di sé, scaricando tutta quell’inutile preoccupazione in direzione di Germania. «Non posso lavarli adesso, sono troppo stanco. E anche le mie mani sono stanche. Rischio solo di farne cadere qualcuno.»

Germania strinse gli occhi, risucchiò un sospiro dal naso che gli fece rabbrividire le grinze che gli avevano contratto la fronte. «Italia…»

«Ti aspetto a letto.» E i passetti di Italia s’infilarono nell’oscurità del corridoio, si allontanarono fino a che il loro eco non si affievolì e svanì del tutto, interrotto dal tonfo di un suo tuffo con cui si lasciò cadere e molleggiare sul materasso.

Germania si concesse un attimo per battere le palpebre, ammosciare l’indice ancora rivolto al lavello, e riflettere sulle ultime parole di Italia. “Ti aspetto a letto.” Una frase che non riuscì a confortarlo o allietarlo come di solito succedeva.

Una goccia d’acqua piovve dal sifone – plic! – e zampillò nel pentolino mezzo pieno, allungò la vibrazione di un silenzio che si strinse attorno al povero Germania che in tutta reazione se ne rimase lì in cucina, in calzoncini e maglietta del pigiama, imbambolato sotto il fioco riverbero del lampadario, fra il disastro ammucchiato nel lavello e la tavola sparecchiata ma ancora coperta dalla tovaglia. Fuori dalle tendine socchiuse, ormai il viola dell’alba si stava tingendo di un blu pallido e nebbioso, simile al fumo di legna giovane che crepita ed evapora dalla cappa di un caminetto appena acceso. Il blu di certe mattine primaverili che preannunciavano una giornata dapprima rigida e profumata di fredda rugiada, ma che poi sarebbe stata scaldata da un sole ridente che avrebbe fatto spalancare immensi prati di fiori su cui le rondini cinguettavano allegre.

Il silenzio venne infranto dal precipitare di un’altra goccia – plic! – al cui eco cui si unì il ronzio metallico del frigorifero, il rombo di un paio di automobili che attraversarono la via sotto casa. Auto di gente che usciva presto per andare al lavoro. Probabilmente, i signori alla guida avrebbero alzato lo sguardo verso la finestra illuminata del loro appartamento e, scuotendo la testa, si sarebbero domandati perché mai gli inquilini che ci abitavano fossero già svegli alle quattro di mattina. Si facessero gli affari loro, insomma!

Germania, tuttavia, aveva qualcosa di ben più preoccupante per cui crucciarsi rispetto alle frecciatine dei giudizi altrui. Tutti quei piatti sporchi ammucchiati nel lavello, per esempio. Piatti e pentole a cui nel giro di qualche ora si sarebbero aggiunte anche le stoviglie sporche della colazione, le tazze e la moka del caffè.

Germania stritolò un sinistro scricchiolio fra i pugni incollati ai fianchi, serrò la mascella, e posò di nuovo lo sguardo vacillante sulla pila della vergogna. Un brivido risalì i suoi piedi scalzi, scosse i muscoli fino alle spalle, e grattò un bruciante prurito in fondo allo stomaco.

L’indomani mattina avrebbe dovuto concentrarsi solo sugli appunti da ripassare, sulla tesi che avrebbe dovuto esporre durante la riunione, su tutti quei calcoli e bilanci di mercato da organizzare, e non ci sarebbe stato sicuramente tempo per lavare i piatti – fosse maledetta la volta in cui aveva deciso di rinunciare all’installazione della lavastoviglie. Avrebbe dovuto pensarci adesso, ma no…

Questa volta no. 

Germania scosse la testa, perché non poteva essere sempre lui a rimediare ai pasticci di Italia. Italia avrebbe dovuto imparare ad assumersi le sue responsabilità e ad affrontare le conseguenze dei suoi capricci, come gli aveva promesso prima di sgusciare fuori dal letto per prepararsi gli gnocchi alle tre di mattina.

Questa volta non sarò io a rimediare a un suo pasticcio.

Germania diede le spalle al lavello e ai piatti sporchi, e con due soli passi raggiunse la soglia della cucina. Aprì la mano sull’interruttore della luce, distese l’indice, ma un tremore arrestò il gesto, gli irrigidì la punta del dito impedendogli di pigiare il pulsante.

Dietro di lui, un altro gocciolio del sifone – plic! – infranse il bacino d’acqua accumulato in cima alla pila di pentole, scosse una metallica vibrazione che rimbalzò nel vacuo silenzio della cucina ancora illuminata e profumata di buono.

Germania ruotò la coda dell’occhio, sbirciò alle sue spalle, verso quell’eco che gli aveva pizzicato l’orecchio.

L’immagine del lavello pieno di piatti e pentole e posate scaricò su di lui un viscido brivido di umiliazione che gli accapponò la pelle. Germania tirò su col naso, fiutò il rancido odore della vergogna. Gli operai e soldatini che abitavano il quartier generale della sua testa si tornarono a radunare, bisbigliarono l’uno all’orecchio dell’altro, e le loro accuse e sentenze bruciarono attraverso i pensieri di Germania come vibranti e letali affondi di lama.

Vergogna, sibilarono dal quartier generale, scambiandosi scure occhiate di disappunto che fecero scuotere la testa a tutti, persino agli ufficiali di rango maggiore. Vergogna, vergogna a vita!

Indici accusatori si scagliarono contro la solitaria figura di Germania immobile sulla soglia.

Sta trascurando i piatti sporchi, e intende lasciare la cucina così? Vergogna. Dov’è la nostra dignità? Non ci hanno insegnato niente? Cosa direbbe nostro fratello?

Germania fece scivolare la mano dall’interruttore della luce e giù dalla parete. Strizzò i pugni tremanti e sudaticci, e inspirò a lungo dal naso, rimanendo tuttavia integro sotto la sua corazza di dignità e teutonica compostezza.

Aveva forse altra scelta?

Sganciò il grembiule a cuoricini dal piccolo uncino fissato sul muro, lo sventolò due volte scuotendo un lampo bianco e rosso, e se lo allacciò in vita stringendo bene le ali del fiocco che gli cadde sulle natiche. Indossò i guanti di gomma tirandoli fin sopra i gomiti, avvitò il tappo nell’occhiello del lavandino, spalancò uno scrosciante getto d’acqua calda che annaffiò i piatti accumulati, seppellendoli sotto una nuvola di vapore. Agguantò la spugna a doppio strato, ci spremette sopra una generosa dose di detersivo all’arancia e aceto, e strofinò il primo piatto macchiato di salsa ai quattro formaggi. Tracce di fontina si sciolsero e sparirono nel bianco della schiuma, il gorgonzola annegò e si dissolse sotto il gorgheggiare del detersivo che cresceva e si gonfiava sotto lo scuotersi delle mani inguantate di Germania che, fra uno sbuffo e un grugnito, annegò tutte le sue frustratissime imprecazioni sotto quello spumoso e profumato volteggiare di bollicine.


 

***


 

Germania si massaggiò dita e palmi leggermente arrossati e umettati dai guanti di gomma che aveva immerso e scosso nel gorgoglio dell’acqua ribollente di schiuma di detersivo. Se li era appena sfilati. Dopo essersi asciugato con lo strofinaccio, lo lisciò e lo appese al gancetto affianco al grembiule a cuoricini. Spense la luce della cucina e, dopo un lungo sospiro che lo fece sentire svuotato ma soddisfatto, strusciò i piedi scalzi, passo dopo passo, lungo il corridoio, trascinandosi dietro una tiepida e vaporosa scia che profumava di detersivo all’arancia e dello sgrassatore al Sapone di Marsiglia che aveva spruzzato e strofinato sui fornelli, sul tavolo sparecchiato, e sul ripiano di cottura, polverizzando fino all’ultima macchiolina di sporco e facendo splendere le l’acciaio cromato come la corona di un principe prussiano. Quando Germania aveva strusciato il pollice sopra il lavello asciutto, la sua superficie era risultata così liscia e pulita che aveva singhiozzato al tocco. E Germania aveva annuito soddisfatto, in pace con la sua anima e anche con i piccoli soldatini e operai che dirigevano i comandi della sua coscienza.

Ma i lavoratori che abitavano il quartier generale della sua testa avevano anche altri motivi per i quali ritenersi contenti e soddisfatti, ricompensandosi con strette di mano e cenni d’assenso. Anche Germania pensava che, dopotutto, era valsa la pena sacrificare un paio di ore di sonno per assecondare una follia di Italia. Per una volta. Quella seconda cena delle tre del mattino gli pascolava nello stomaco sazio, irradiato da un’aura candida proprio come la salsa ai quattro formaggi che avevano versato sui loro piatti di gnocchi. Una luce tanto tiepida e benevola che era stata sufficiente per cancellare quella grinza di irritazione scesa a solcare la fronte di Germania quando si era ritrovato a grattare la spugna sui piatti sporchi o a strofinare il panno asciutto sulla tavola appena lucidata dallo sgrassatore. Le mani non pizzicavano nemmeno più. Magari, il giorno dopo avrebbe anche potuto ricambiare il gesto. Offrire a Italia qualcosa di altrettanto inaspettato e sfizioso.

Domani è venerdì, ragionò Germania. Dopo la riunione di domani mattina avremo tutta la giornata libera. Se non ci saranno troppi disguidi e discordanze, forse riusciremo a finire tutto addirittura entro ora di pranzo.

Avrebbe potuto offrirgli il pranzo in quella trattoria casereccia che cucinava le pappardelle alla cacciatora che a Italia piacevano tanto, perché no? Oppure, ecco, avrebbe potuto preparargli una torta. Un gesto molto più caldo e affettuoso da parte sua.

La crostata di frutti di bosco e crema pasticcera che a Italia piace così tanto, magari. 

Prima però avrebbe dovuto fermarsi a comprare il limone fresco da cui grattugiare la scorza, perché Germania odiava spruzzare gli aromi artificiali sui suoi dolci fatti in casa. Di burro ce n’era abbastanza, ma non era sicuro che fossero avanzate abbastanza uova con cui impastare la frolla.

Ci penserò domani…

Germania accompagnò quell’ultimo pensiero soffocando un gran sbadiglio dietro la mano sventolante che si era portato alla bocca. Trascinò gli ultimi passi lungo l’attraversata che lo stava conducendo alla camera da letto, guidato dalla sola intenzione di lasciarsi crollare fra le coperte e di godersi le ultime ore di sonno a disposizione prima dello squillo della sveglia, abbracciando sia il cuscino sia la consapevolezza che nessuna forza al mondo sarebbe stata capace di tenerlo sveglio per un solo minuto di più. Assolutamente nessuna.

Giunto sulla soglia della camera da letto, Germania spinse la porta socchiusa e venne accolto dal tiepido e ambrato riverbero della lampada da comodino che era accesa. Strizzati gli occhi sull’impatto della luce così improvvisa, fu accolto anche dal profilo di Italia steso sul fianco, il gomito piegato sui cuscini sovrapposti, le nocche flesse che sostenevano il capo reclinato, una coscia accavallata all’altra gamba che era allungata fra le morbide pieghe del lenzuolo che cadeva come un drappo dall’orlo del materasso. 

Italia indossava i suoi sfavillanti calzini color rosso Ferrari e nient’altro. Con la mano libera fece roteare i boxer dello stesso colore attorno alla punta dell’indice, come una piccola bandiera, o come il drappo di un torero.

A Germania fischiarono le orecchie.

Italia sciolse la sottile linea delle labbra in uno squisito sorriso di miele e peperoncino. Ammiccò in direzione di Germania, riconoscendo quella sua espressione stralunata, e piegò leggermente il capo sorretto dalle nocche per lasciarsi carezzare le guance dalla luce ambrata della lampada, bello e sorridente come un’allucinazione provocata dall’insonnia, o da un’indigestione di carboidrati annegati in una filante e burrosa colata lavica di formaggio fuso.

«Vuoi fare il bis di gnocchi, Capitano?»

Italia fece volare i boxer roteanti che atterrarono sul paralume della lampada da comodino. La luce tinse di rosso le pareti della camera, le arroventò come l’interno di un forno, o come la superficie delle padelle dentro le quali avevano fatto saltare e rosolare gli gnocchi. Anche Germania, davanti a una tale visione, si sentì proprio come uno gnoccolone cotto e rosolato a puntino su uno sfrigolante letto di burro fuso.

Italia fece correre una mano fra le gambe nude e accavallate, carezzò e risalì la soffice curva del ventre, il petto, per poi far scivolare il tocco sul rossore della guancia. Si posò due dita sulle labbra, schioccò un bacio zuccherino, e lo soffiò spedendolo in direzione di Germania.

Germania venne colpito in fronte dal cuoricino volante. Tentennò di un passo all’indietro, vacillò sui tremori delle ginocchia che si erano fatte molli e cedevoli come gomma, e sbatacchiò gli occhi su un scintillante capogiro che fece trottolare le pareti della camera da letto tinta di rosso.

Un sordo rimbombo accelerò il martellare del suo petto. Le tempie gocciolarono sudore freddo, dal collo divampò un bruciore che scottò fino alle orecchie, bocca e gola divennero asciutte come carta, e lo sguardo vacuo di Germania partì per l’iperspazio, non del tutto sicuro di poter fare ritorno sulla terraferma.

I piccoli operai e soldatini che abitavano il quartier generale della sua testa impazzirono. Qualcuno strappò e gettò all’aria i fascicoli contenenti tutta una serie di pensieri ed emozioni non catalogabili, «È la fine del mondo!», facendoli esplodere in una nevicata bianca che, alla pari di una pioggia di coriandoli, annaffiò quelli che invece si erano messi a correre in cerchio, o che erano sfrecciati verso le uscite di emergenza su cui gli allarmi rossi gridavano e lampeggiavano.

Un paio di braccia si innalzò al di sopra del torrente di teste in corsa. «Mantenete la calma!» Mani sventolarono ordini che vennero sovrastati da urla e sirene. «Mantenete tutti la calma, questa non è un’esercitazione!»

Uno degli operai, rincorso da una valanga di festosi cuoricini sorridenti che si erano già ingoiati qualcuno dei suoi colleghi più lenti, si gettò sulla porta di un’uscita d’emergenza. Ci pestò più volte le mani sopra. «Fatemi uscire!» Si aggrappò alla maniglia, diede molteplici strattoni fino a far scricchiolare le dita rosse e sudaticce, gemette un grido rauco e frustrato, si girò di schiena, spinse tutto il peso sui talloni e diede un colpo di reni per forzare la porta che tuttavia non si schiodò di un cigolio. «Ci invadono, ci invadono, no!»

Il torrente di cuoricini innalzò un’ombra che sommerse l’operaio, riempì il lucido dei suoi occhi spalancati sbattendogli in faccia le scritte che contrassegnavano ognuno di loro: “Confusione”, “Ansia”, “Lussuria”, “Amore”, “Ancora più amore”, “Vogliamo le coccole!”, “Abbracciamo Italia!”.

Il poveretto soffocò un grido strozzato. «No!» Si accartocciò ai piedi della porta, incrociò le braccia davanti alla faccia per proteggersi. «Qualcuno mi aiuti!» E venne travolto dai cuoricini e dai corpi esanimi di operai e soldati che erano già stati fagocitati da quel roseo torrente d’amore.

Uno dei soldati che era stato travolto si accasciò a terra. Le braccia spalancate, l’uniforme strappata, gli occhi ridotti a due cuori che pulsavano, un grumo di bava che schiumava dalla bocca stesa in un ebete sorriso così in pace con il mondo da non avere bisogno di altro.

Un giovane soldato, notandolo a terra, frenò la fuga. Gli si inginocchiò affianco. «Oh no, Franz!» Sovrappose le mani al suo petto, «Tieni duro!», e praticò un massaggio cardiaco che comunque non fece reagire il poveretto. «Lo stiamo perdendo.» Il giovane soldato insistette, sempre più affannato, i capelli sugli occhi, le labbra tremanti, le spinte delle mani sempre più secche sul petto del compagno, e gli occhi lucidi e disperati. «Lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo – Capitano!» Si girò a lanciare un urlo disperato in direzione delle altre grida che si mescolavano alle sirene d’allarme e al ruzzolare dei passi in fuga. «Capitano!» Una cascata di lacrime gli gocciolò dalle ciglia, gli solcò le gote e gli sbrodolò dal mento. «Non ce la farà!» E infatti il poveretto collassato sotto le sue mani e sotto tutti i suoi sforzi era ormai irrecuperabile. Singhiozzò un altro sorriso beato da cui perse un altro getto di saliva schiumante. Gli occhi contenti e palpitanti proprio come quei cuoricini selvaggi che avevano invaso il quartier generale.

I cuoricini più vivaci e dispettosi si radunarono ad accerchiare uno dei soldati che si era rannicchiato in un angolo, dietro una piccola trincea composta da archivi esplosi e da scartoffie strappate. Il poverino stridette un gemito di terrore, si raggomitolò nell’angolino che gli dava rifugio, calciò via un cuoricino contrassegnato dall’insegna “Voglio tanti baci”, e raccolse le ginocchia al petto per non farsi toccare dagli altri che stavano avanzando. Si rosicchiò l’unghia del pollice, dondolò avanti e indietro farfugliando: «Niente sesso prima delle riunioni, niente sesso prima delle riunioni, niente sesso prima delle riunioni». Si afferrò la testa fra le mani, strizzò le dita fra i capelli, piantandosi le unghie nella cute, e scoppiò anche lui in un pianto amaro e disperato che gli annaffiò le guance. «Se non lavoriamo sodo non ci meritiamo gli gnocchi di Italia, no!» L’assalto dei cuoricini si innalzò e lo sommerse, inghiottendolo sotto quell’irresistibile e ridente bagno d’amore.

Il Sergente Maggiore scrollò una gamba per calciare via un cuoricino che gli si era aggrappato allo stivale. «Maledetti, non mi avrete mai!» Urtò le spalle dei soldati e operai che stavano fuggendo in direzione opposta alla sua, allungò il braccio in mezzo alla calca e agguantò la giacca di un giovane cadetto che riuscì a pescare dal resto di fiume di disperati.

Il Sergente Maggiore stritolò il pugno sul bavero del cadetto piagnucolante, lo spinse e lo sbatté al muro, inchiodandolo sotto il suo sguardo nero d’ira. «Dummkopf!» Rovesciò il braccio e gli sganciò un manrovescio in piena faccia, stampandogli addosso un’impronta rossa e bruciante che fece lampeggiare la sua guancia come un semaforo. «Ci siamo venduti per un piatto di gnocchi al formaggio!»

Scosso dai singhiozzi, bagnato da una cascata di lacrime che sgorgò a fiotti dai suoi occhi chini e colpevoli, il cadetto trovò comunque la forza di tirare su col naso e di battere un saluto militare sulla fronte. «Signore!» Gonfiò il petto in un ultimo tentativo di recuperare contegno e dignità, «In nostra difesa erano gnocchi squisiti, Signore!», prima che anche lui e il Sergente Maggiore venissero sommersi dalla valanga di cuoricini d’amore, gioia e tenerezza, che ormai avevano allagato e riempito l’intero quartier generale, screpolando e squagliando di conseguenza la granitica corazza di ghiaccio che proteggeva l’anima di Germania.

Ripresosi dal tentennamento, Germania sbatacchiò gli occhi storditi, e Italia era ancora lì, sdraiato nudo sul letto, carezzato da una soffusa doccia di luce rossa che accresceva quelle sottili ombre feline ritagliate fra le sue palpebre socchiuse. E non era un’allucinazione.

Germania si prese le tempie, le sentì pulsare sotto il suo tocco. Chiuse gli occhi, inspirò dal naso, si massaggiò la fronte, e sbuffò un lungo e basso grugnito che in qualche maniera gli svuotò la testa, alleggerendola dal peso di quella bufera che si stava scatenando al suo interno, fra archivi ribaltati, operai impazziti, fascicoli gettati all’aria, e batticuore incontrollato.

Ormai erano le quattro di mattina passate, la loro sveglia sarebbe squillata in meno di due ore e mezza, domani era in programma un’importante riunione di lavoro, e lui doveva ancora finire di ripassare e correggere gli appunti della sua presentazione. Si era appena divorato un piatto di gnocchi al formaggio fuori programma. Aveva ancora le mani rosse, accaldate e sudaticce, per aver lavato piatti e pentole e per aver resettato la cucina, e Italia lo stava aspettando nudo nel letto chiamandolo con quel suo sventolio di ciglia e uno schioccare delle labbra.

Povero Germania. Povero lui. Ma, proprio come davanti ai piatti sporchi e alle macchie di formaggio incrostate sull’acciaio dei fornelli, che alternative aveva?

Germania si agguantò l’orlo dei calzoncini del pigiama e, con un solo trionfale gesto, se li sfilò e li lasciò cadere a terra, proprio come un pugile arreso getterebbe al tappeto la sua spugna bagnata.

Italia si rotolò sulla schiena, squillò un gridolino euforico. «Yee!» Batté le mani, scosse i piedi contenti. «Lo spogliarello del Capitano!» Gettò i pugni vittoriosi al soffitto, «Vai, Capitano, vai!», e chiuse le mani a coppa attorno alla bocca, come durante un tifo allo stadio. «La folla esulta – yu-uhh

Germania fece anche per sfilarsi la maglietta, tuttavia, arrivato all’ombelico, frenò il gesto e ci ripensò, perché no, quella sarebbe stato Italia a togliergliela, come gli piaceva sempre fare. Magari accompagnando il gesto con una dolce risalita di baci dal petto alla gola.

Germania raggiunse il letto accolto dalle braccia di Italia che si spalancarono, dalle sue labbra sorridenti che si arricciarono a cuore. «Bacio, bacio.» E le due bocche s’incontrarono, sciolsero un bacio da cui esplose una luce bianca e inebriante. Un bacio che fu dolce come il gorgonzola, cremoso come la panna, pieno e saziante come una calda forchettata di gnocchi fatti in casa.

E buon appetito a loro.