Chapter 1: Il Torneo
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L'arena principale di Bangkok era un oceano di luci e rumore.
Oltre ventimila persone riempivano lo stadio coperto, un muro di grida e schermi giganti che trasmettevano il countdown del DeadZone 2.0 World Championship - Final Round. Sopra le loro teste, droni riprendevano ogni dettaglio: il palco, i quattro team finalisti, i caschi VR di ultima generazione, i volti tesi dei giocatori che stavano per immergersi nella simulazione più avanzata mai creata.
Sul lato destro del palco, Sea era seduto davanti alla sua postazione. Le dita scivolavano leggere sulla tastiera mentre controllava che tutto funzionasse: connessione stabile, parametri sensoriali calibrati, sistema nervoso sincronizzato. Un battito di ciglia, e la sua concentrazione divenne assoluta.
Nessuna parola, solo respiro controllato. Le luci blu del monitor gli disegnavano sul viso un'espressione impassibile.
Per lui, ogni partita era una battaglia mentale prima ancora che un duello di riflessi.
Sul lato opposto, Keen faceva l'esatto contrario.
Rideva.
Scherzava con i compagni, sistemando il microfono del casco come se fosse solo un accessorio per lo show. Aveva un'energia contagiosa, il sorriso pronto, quel tipo di presenza che faceva esplodere il pubblico in un boato non appena il suo volto appariva sul maxischermo.
"Guardalo," sussurrò Barcode, seduto affianco a lui, "sembra un robot. Gioca bene, certo, ma un po' di vita in più non gli farebbe male."
Keen abbassò la visiera del casco e rispose, con tono ironico:
"È così che funziona per lui. Niente emozioni, niente errori. Ma stasera lo mando io fuori equilibrio."
Dal pubblico arrivò un'onda di applausi quando il conduttore annunciò i nomi dei due team finalisti.
Sul maxischermo comparvero i profili digitali dei giocatori, con le statistiche e i punteggi. SEA (Dechchart Tasilp) - record imbattuto in modalità sopravvivenza. KEEN (Suvijak Piyanopharoj) - miglior punteggio in missioni cooperative. Due leggende, due caratteri opposti, un'unica rivalità che aveva infiammato il mondo degli e-sport.
Quando si ritrovarono fianco a fianco al centro del palco, per la stretta di mano pre-partita, il boato della folla salì ancora.
Sea tese la mano in silenzio, lo sguardo fisso, neutro.
Keen la strinse con un sorriso storto. "Non sforzarti troppo oggi, Sea. Sarebbe un peccato vederti perdere davanti a tutto il mondo."
La sua voce era leggera, ma tagliente.
Sea lo guardò di lato, freddo come sempre.
"Ti preoccupi troppo di me. Concentrati sul non morire nei primi cinque minuti."
Una risata attraversò il palco, amplificata dai microfoni. Il pubblico impazzì. I commenti scorrevano in tempo reale sui maxi-schermi:
-"Li adoro quando litigano!"
-"Sea non ha pietà!"
-"Keen lo farà a pezzi!"
Ogni volta era così. Li volevano insieme, ma solo per vederli scontrarsi.
"Eccoli, signore e signori! Il duello che tutti aspettavano!"
Il gong virtuale annunciò l'inizio della sessione.
Le luci si abbassarono. I caschi VR vennero agganciati, i sensori nervosi attivati.
Nel buio, solo il battito del cuore. Poi, la connessione.
Il mondo virtuale di DeadZone 2.0 si materializzò intorno a loro come un sogno di metallo e cenere.
Una metropoli distrutta, torri spezzate, droni militari che fluttuavano sopra strade coperte di fumo.
Ogni squadra si ritrovò in un punto diverso della mappa: obiettivo, conquistare e mantenere il Core centrale, la fonte di energia che determinava la vittoria.
Sea osservò il terreno dal suo punto d'apparizione. Il vento virtuale spostava la polvere tra i resti dei palazzi.
Attraverso il visore, vedeva i suoi compagni di squadra, Hong, Nut, Aston, Chokun e Bonnie, già in posizione. Comunicazioni pulite, strategia impostata, movimenti sincronizzati.
"Squadra Delta, spostamento su coordinate 3-7-2. Keen e gli altri sono all'ovest," comunicò Sea.
"Roger."
Sul canale pubblico, però, una voce squillante interruppe la calma tattica:
"Ehi, Sea! Non scappare come l'ultima volta, ok? Non sarebbe bello vincere senza vederti almeno cadere una volta!"
Keen.
Anche senza vederlo, Sea sentì quel sorriso dietro la frase. Lo irritava e lo intrigava allo stesso tempo.
Premette un tasto per disattivare il canale generale. "Infantile come sempre," mormorò tra sé.
Il match prese vita.
Colpi di arma da fuoco virtuale, droni che esplodevano nel cielo digitale, ordini urlati.
Il pubblico in sala urlava a ogni kill, a ogni acrobazia.
Keen si muoveva come una scheggia impazzita: saltava tra i veicoli, attirava l'attenzione, rideva mentre schivava proiettili. Il suo stile era caotico, ma efficace.
Sea invece avanzava con precisione chirurgica, ogni colpo mirato, ogni passo calcolato.
La loro rivalità sembrava una danza: caos e controllo, istinto e logica, luce e ombra.
A metà partita, il punteggio era pari.
Il commentatore esclamò, con voce eccitata: "Incredibile! Sea e Keen sono ancora perfettamente bilanciati! È come se si leggessero nella mente!"
Forse, in un certo senso, era proprio così.
Negli ultimi anni si erano affrontati tante volte che ormai conoscevano ogni mossa dell'altro.
Sea prevedeva quando Keen avrebbe rischiato troppo.
Keen sapeva quando Sea stava per cambiare rotta.
"Ti sto dietro, Sea," la voce di Keen riecheggiò nel canale aperto.
"Lo so."
"Ti darò filo da torcere."
"Ti servirà di più che parlare per farlo."
Un attimo dopo, i due si incontrarono sul campo, in mezzo alle rovine di un centro commerciale distrutto.
Fu come se il resto del mondo sparisse.
Solo loro, due avversari che avevano costruito la propria fama sull'essere opposti.
Keen uscì allo scoperto, armi pronte.
"Faccia a faccia, eh?"
Sea inclinò la testa, il mirino puntato esattamente sulla fronte di Keen. "Non durerai due secondi."
"Scommettiamo?"
Il colpo partì.
Non uno, ma due.
Le proiettili si incrociarono nell'aria, scintille digitali.
Entrambi schivarono, rotolando dietro coperture diverse.
Il pubblico era impazzito. Ogni movimento, ogni respiro era proiettato in diretta.
Era spettacolo puro, rivalità perfetta.
Keen scattò in avanti, lanciando una granata di luce. Sea la evitò per un soffio, rispondendo con un colpo mirato che lo costrinse indietro.
"Non male," disse Keen, ansimando. "Stai migliorando."
Sea replicò secco: "È solo che tu sei prevedibile."
Un boato esplose quando i due si affrontarono corpo a corpo. Keen sferrò un calcio, Sea lo bloccò, poi un pugno, un contrattacco, un salto.
La tensione era elettrica.
Ma proprio quando sembrava che uno dei due stesse per avere la meglio, l'ambiente intorno a loro... cambiò.
Un ronzio.
Un glitch.
Un istante di distorsione visiva attraversò il mondo virtuale: le texture si dissolsero per un secondo, lasciando solo un lampo di grigio e linee di codice.
Sea si immobilizzò.
"Keen... hai visto..."
"Già. Dev'essere un bug del sistema, succede a volte."
Ma non era un semplice bug.
Le comunicazioni con i compagni si interruppero.
I nomi degli altri giocatori, che normalmente lampeggiavano nell'HUD, scomparvero.
Poi, il terreno cominciò a tremare.
Nello stadio reale, i commentatori si guardarono confusi. Le immagini sugli schermi si fecero tremolanti, i suoni distorti.
"Abbiamo... un problema tecnico, sembra che la simulazione stia..."
Schermo nero.
Totale.
Nel buio, Sea si tolse il casco di scatto - o almeno, provò a farlo. Ma non ci riuscì, non riusciva a togliersi il casco nella realtà.
Il sistema non rispondeva.
Sentì il battito accelerare, una fitta di panico che non era programmata.
"Keen?" provò a chiamare.
Silenzio.
Poi, un rumore bianco.
Un sibilo metallico che gli perforò le orecchie.
Una voce, distorta, non umana, attraversò l'etere:
> "Connessione persa. Protocollo di emergenza attivato."
Nello stadio, le luci si spensero tutte insieme.
Le urla del pubblico si mescolarono al rumore statico dei megaschermi.
Nessuno capiva se fosse parte dello spettacolo o un incidente reale.
Sea percepì un lampo bianco dietro le palpebre chiuse.
Il terreno virtuale si disintegrò, lasciando spazio a un vuoto senza forma.
Per un attimo, sentì la presenza di qualcuno accanto a lui, una voce, un respiro familiare.
Keen.
"Sea? Che diavolo sta succedendo?"
Non ebbe il tempo di rispondere.
Tutto collassò.
Il silenzio fu totale.
Né suoni, né luce, né corpo.
Solo la sensazione di cadere in un buio infinito.
Poi, un battito.
Uno. Due.
Un suono lontano, come un sistema che si riavvia.
Sea provò a muovere una mano, ma non sentì nulla.
Keen gridò qualcosa, ma la voce gli arrivò ovattata, come provenisse da un sogno.
Un istante dopo, il mondo scomparve del tutto.
Schermo nero. Rumore bianco. Silenzio.
Chapter 2: Il Glitch
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Un battito.
Poi un altro.
E infine... silenzio.
Quando gli occhi di Sea si aprirono, il mondo non era più la sala del torneo. Il suono degli applausi aveva lasciato spazio a un vento greve, carico di polvere. Il cielo era di un grigio uniforme, senza nube né sole, come un riflesso spento di ciò che avrebbe dovuto essere.
Strade sconvolte, automobili capovolte, vetri frantumati. Semi distruzione, ma con un ordine inquietante.
Sea inspirò, sentendo il gusto amaro del ferro. Si portò una mano al casco, ma non c'era nulla.
"... dovremmo essere ancora dentro la simulazione?" mormorò, la voce flebile.
Accanto a lui, Keen si tirò su in modo brusco, come se avesse sbattuto la testa. Instinto più che consapevolezza.
Sea si piegò e toccò l'asfalto rovinato.
"Dove... siamo?" la voce era calda ma ferma. Sospesa tra rabbia e incredulità.
Di fronte, Keen agitò la testa, non c'era alcuna interfaccia: niente HUD, niente contatori, nessun menu, l'unica cosa del gioco che era rimasta era l'orologio che gli mostrava la mappa. Davanti a loro solo un paesaggio devastato che pareva fin troppo realistico.
"Non lo so. Questo non è un glitch normale" rispose, la voce compressa. "Qualcosa... non torna."
"Mi sento come se mi stessi muovendo ma allo stesso tempo non lo stessi facendo; non riesco a capire più se ho il visore o meno"
"Bella sorpresa l'update più realistico di sempre," fece con ironia Keen, ma lo sguardo mostrava nervosismo.
Sea lo fissò, con quel silenzio che diceva "non toccarmi".
Keen si passò una mano tra i capelli e rise, quasi nervoso. "Ok, ok... Ma parliamoci chiaro: se questa fosse una modalità extra, dev'essere spiegata, no?"
Ma non c'era spiegazione. Solo altri giocatori che iniziavano a svegliarsi, tra di loro i membri dei loro team:Hong, Nut, Aston, Chokun, Bonnie e Tui, Lego, Barcode, Aungpao, Ashi.
C'erano anche i membri degli altri team, alcuni erano loro amici, altri li conoscevano di fama. Nessuno però sembrava tanquillo o sapere cosa stava accadendo.
Sea si rialzò. "Dove sono le coordinate? È assente tutto, le impostazioni di gioco i comandi manuali e vocali. È come se fossimo semplicemente... qui."
"Qui dove?" ribatté Keen, guardandosi intorno. "In un dannato set post-apocalittico, iper realistico? Bravo, ottima produzione, applausi."
Poi dal nulla interrmopendo tutte le voci dei giocatori sia verbali che nelle loro menti, un rumore leggero, proveniente da ovunqueintornoa loro, come fosse nella loro mente, come metallo che vibra. Tutti alzarono lo sguardo, confusi. Poi una voce, distorta, autoritaria, senza emozione, scandì parole che fecero gelare il sangue.
> «Benvenuti nel Progetto DeadZone 2.0.
Questa non è più una simulazione.
La vostra sopravvivenza determinerà il vostro destino.
La morte nel gioco equivale alla morte reale.
Seguite le missioni che vi verranno date in gioco e potrete tornare alla vostra vita normale.
Il pubblico vi sta guardando.
Buona fortuna, giocatori.»
Silenzio.
Un istante troppo lungo, poi il caos.
"Cosa... cosa significa "la morte reale"?!" qualcuno urlò.
"È un bug, giusto? È uno scherzo promozionale!: replicò un altro.
Sea serrò i pugni, la mandibola tesa. "Questo... non sembra chiaramente essere un bug."
Keen si avvicinò. "Stai zitto un attimo e pensaci: se fosse solo un falso allarme, perché togliere tutti gli indicatori? Perché lasciarci in questo... deserto?"
Altri giocatori invece non ci credevano ed erano scettici, pensavano a uno scherzo di cattivi gusto, guardandosi intorno perplessi.
Attorno, la confusione cresceva: persone che correvano, che afferravano pistole o oggetti trovati a terra, altre parlavano a vuoto, piangevano. Un gruppo si riunì poco distante, discutendo ad alta voce.
"Se è live streaming... qualcuno dovrà spiegare!" chiese uno.
"Se siamo ancora dentro il gioco, come dovremmo morire, e cosa dovremmo fare" rispose un altro, che guardava la cima di un grattacielo distrutto.
Keen sbuffò e afferrò un tubo metallico arrugginito. "Eccoci qua, arma improvvisata numero uno," disse con sarcasmo, ma la sua voce tremava.
Sea lo guardò, uno sguardo glaciale.
Il vento portò un suono lontano: un gemito, un grido o solo il vento stesso? Nessuno poteva dirlo. Ma quel rumore bastò a spingere qualcuno a fuggire.
Attorno, le squadre si separarono in piccoli gruppi. Alcuni tentarono di organizzarsi come avevano fatto per il torneo: leader che parlavano, piani, strategie. Ma nessuno sapeva cosa affrontare. Nessun obiettivo appariva. Solo dichiarazioni criptiche della voce metallica.
Un giocatore, Est, si fermò. "Ragazzi... ho provato a uscire, disconnettermi... niente."
Sea guardò attentamente. "Non sei il solo."
"Se non possiamo più disconnetterci... siamo prigionieri."
Keen fece spallucce. "Bell'affare."
Il cielo pareva stringersi sopra di loro, l'aria pesante com'era stata nelle simulazioni, ma con un tocco reale: paura, odore, rumore. Sea accostò la mano alla bocca mentre inspirava l'odore di fumo e ruggine.
"Hai ragione su una cosa" disse ad alta voce, rivolto a tutti. "Non è più un torneo. È qualcosa di peggio."
Keen si girò e alzò un sopracciglio. "Pezzettino di understatement, bravo."
Sea non rise.
Poi, dal nulla, di nuovo la voce metallica si fece strada:
> «Prossima comunicazione imminente.»
E cessò.
Nessun segnale, nessun indicatore, nessuna via d'uscita.
Solo un'onda di panico che montava.
Era tutto troppo realistico, pori rimaneva quella strana sensazione di riuscire a muoversi e allo stesso tempo no; riuscivano a sentire la sensazione della terra e del vento contro la loro pelle, chiaramente qualcosa non quadrata, ma cosa avrebbero dovuto fare, non gli era stato annunciato nulla prima del campionato, ne tanto meno da quando avevano iniziato a giocare.
"Cosa cazzo sta succedendo..."
Chapter 3: Sopravvivere
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Il vento soffiava tra le rovine come un respiro stanco, sollevando cenere e polvere che tagliavano la luce grigia del cielo.
Nessuno parlava. Nessuno osava muoversi.
Da quando per la seconda volta la voce metallica aveva smesso di risuonare, i giocatori si erano radunati in un vecchio parcheggio distrutto, cercando di capire se tutto quello che stava accadendo fosse reale o solo una trovata scenica del torneo.
Sea si era appoggiato contro una carcassa di auto, il respiro calmo ma gli occhi fissi su ogni movimento. L'odore di ferro e bruciato lo colpiva alle tempie. Accanto a lui, Keen camminava avanti e indietro, come se l'immobilità fosse più pericolosa dell'incertezza.
"Non può essere vero..." mormorò il ragazzo, guardando il cielo senza colore. "È solo un glitch del sistema, giusto? Devono risolverlo a breve."
Sea non rispose subito. La sua mente analizzava ogni dettaglio, il calore della pelle, il battito nel petto, la sensazione del terreno sotto i piedi. Tutto era troppo nitido. Troppo fisico.
"Non sembra un glitch."
Keen lo fissò, irritato. "Ah, quindi adesso sei anche un tecnico del gioco? Non puoi semplicemente dire che hai paura, come tutti?"
"Non sto dicendo questo."
"Sì, invece. Lo stai dicendo, ma nel tuo solito modo da robot."
Le loro voci ruppero il silenzio generale, attirando qualche sguardo dai gruppi vicini. Erano ancora in quattro squadre, disposte in cerchio, con circa ventiquattro persone in tutto. Alcuni piangevano in silenzio, altri fissavano l'orizzonte come se aspettassero di svegliarsi.
Un rumore in lontananza fece voltare tutti: un suono basso, gutturale, come un lamento trascinato.
"Cos'era quello?"
Nessuno rispose.
Un ragazzo alzò l'arma, o meglio, ciò che sembrava un'arma, e puntò verso un vicolo. Lì, tra le ombre, qualcosa si muoveva.
Un corpo. Poi un altro.
Camminavano storti, trascinando i piedi.
Zombie.
Le grida scoppiarono all'unisono.
"Non è possibile! È solo una missione! Devono essere bot!"
"Bot o no, si stanno muovendo verso di noi!"
Il gruppo si disperse. I colpi iniziarono a echeggiare, secchi, metallici. Il suono delle armi non era finto. Ogni proiettile aveva un rinculo reale, ogni impatto un suono denso. Il sangue che schizzava a terra non svaniva come in un videogioco.
Sea si mosse con istinto. Afferrò Keen, che era la persona più vicina a lui in quel momento, per un braccio e lo tirò dietro un muro di cemento.
"Ehi!" protestò l'altro.
"Sta' zitto e abbassati."
Dal lato opposto, urla. Un ragazzo, che conosceva venne trascinato a terra, le unghie che graffiavano il pavimento prima che la creatura lo sommergesse. Nessun "respawn". Nessun logout. Solo il silenzio, e poi più niente.
Keen restò immobile, lo sguardo perso.
"Era... Louis. Dio, l'hai visto?"
Sea annuì lentamente.
"Sì."
"E tu resti così calmo?"
"Perché se perdo la calma, moriamo anche noi."
Un altro colpo. Bonnie lanciò una granata esplose troppo vicina. L'onda d'urto li fece cadere entrambi. Keen tossì, portandosi la mano al petto.
Sea si rialzò per primo. Guardò attorno: il gruppo iniziale si era disperso. Circa metà dei giocatori correva verso nord, altri si rifugiavano dentro i palazzi.
Poi apparve sul cielo un bagliore. Una scritta rossa, enorme, sospesa sopra di loro:
> MISSIONE PRINCIPALE: SOPRAVVIVI.
RAGGIUNGI LA TORRE RADIO PER RICEVERE ISTRUZIONI.
"Non può essere vero..." sussurrò Keen, la voce incrinata.
Sea lo guardò, poi fissò il messaggio. "Allora dobbiamo andare."
Le strade erano un labirinto di rottami e corpi immobili. I due si erano uniti a un gruppo di una dozzina di sopravvissuti, tra cui Hong, Nut, Tui, Fluke ,Ford ,Gemini ed altri che non conoscevano bene. La paura li teneva uniti, ma era una fragile alleanza.
"Dobbiamo seguire la mappa?" chiese Nut, tremando.
Sea scosse la testa. "Non è segnato nulla sulla mappa. Solo quella direzione." Indicò la torre in lontananza, che spuntava sopra la città come un ago arrugginito.
Keen rise, ma il suono era vuoto. "Fantastico. Una maratona attraverso l'inferno."
"Hai di meglio da fare?" rispose Sea, secco.
Camminarono per ore, o forse minuti. Il tempo sembrava piegarsi. Ogni suono li faceva voltare. Ogni porta chiusa poteva nascondere morte.
Poi successe.
Un urlo acuto squarciò il silenzio. Dal tetto di un edificio, una creatura saltò addosso a uno dei ragazzi in fondo al gruppo. In pochi secondi, il caos esplose.
"Correte!" gridò qualcuno.
Il gruppo si divise. Keen afferrò Sea per il braccio e lo trascinò in un vicolo, ma un'esplosione li separò dagli altri.
Polvere. Fumo. Sangue.
Quando la vista tornò chiara, non c'era più nessuno. Solo loro due.
E il rumore degli zombie che si avvicinavano.
"Fantastico!" sbottò Keen. "Siamo bloccati! Dove sono gli altri?"
"Morti, forse."
"Non dire così!"
"È la verità."
Keen serrò i denti. "Sai, il tuo modo di parlare mi dà sui nervi."
"Anche tu mi dai sui nervi da quando sei entrato nella mia vita."
"Almeno io non mi nascondo dietro quel tuo sguardo da statua."
"Meglio che recitare una parte per piacere al pubblico."
Le parole bruciavano più dei colpi. Poi il suono dei passi si fece vicino, troppo vicino. Sea fece cenno di tacere. Si inginocchiarono dietro un cassonetto arrugginito mentre tre zombie passavano a pochi metri. Il fiato di Keen tremava, ma Sea gli mise una mano sulla spalla, ferma, silenziosa.
Rimasero così finché il rumore svanì.
Quando si rialzarono, il vicolo era deserto. Solo macchie scure e l'eco del vento.
"Dobbiamo aspettare la prossima comunicazione" disse Sea. "Forse dovremmo solo attendere indicazioni come ha detto la voce, e avvicinarci alla torre.»
""Forse"? Non ti basta quasi morire per smettere di pensare come un programmatore?"
"Pensare è l'unica cosa che ci terrà vivi."
Camminarono per ore, cercando di evitare i punti più esposti. Lungo il percorso trovarono resti di altri giocatori: caschi, armi, zaini abbandonati. Ogni oggetto raccontava una fine prematura.
Keen si fermò accanto a un corpo, un ragazzo che conosceva. Lo fissò in silenzio.
"Ford..." sussurrò la voce che si incrinava nel guardare l'amico.
Sea gli mise una mano sul braccio. "Non guardare."
"Non riesco a non farlo."
"Allora muori con lui."
Keen si voltò di scatto, furioso. "Che caz..."
Un urlo. Un altro attacco.
Una mano fredda afferrò la caviglia di Sea da sotto un'auto. Keen reagì d'istinto: estrasse la pistola e sparò. Il colpo risuonò nel vicolo, il sangue schizzò sulla giacca di Sea.
Rimasero entrambi immobili, respirando forte.
"Ti ho salvato il culo."
"Sì" rispose Sea, fissandolo, "ma hai attirato tutto quello che c'è nei dintorni."
Un coro di gemiti si sollevò poco lontano. Decine di zombie si avvicinavano, spinti dal rumore.
"Corri!" gridò Sea.
Keen non ebbe bisogno di sentirlo due volte.
Correrono tra le strade distrutte, saltando ostacoli, schivando mani che afferravano nel vuoto. Il terreno era viscido, l'aria piena di fumo. Sea inciampò, ma Keen lo tirò su con forza.
"Non sei tu quello che pensa troppo? Allora pensa a un modo per farci uscire di qui!"
"Sto cercando!"
Girarono un angolo, trovando una via chiusa. Muro alto. Troppo alto per scalare in tempo.
Sea si voltò. Gli zombie erano a meno di cinquanta metri.
"Di qua!" gridò Keen, indicando una scala di emergenza che portava al secondo piano di un edificio mezzo distrutto.
Salirono, i passi che risuonavano sui gradini metallici. Dentro, il corridoio era un labirinto di porte e detriti.
Keen si fermò, ansimando. "Pensi che... siano ancora dietro di noi?"
Sea si affacciò da una finestra rotta. "Sì."
"E allora che facciamo?"
"Ciò che dice la missione. Sopravviviamo."
Un suono metallico dietro di loro. Keen si voltò di scatto, puntando la pistola. Solo un tubo che rotolava a terra.
Sea si avvicinò a una finestra, guardando verso la città. In lontananza, la torre radio brillava tra la nebbia. Lontana, quasi irraggiungibile.
"È laggiù," mormorò.
Keen lo raggiunse. "Sembra un sogno. O un incubo."
Sea lo guardò. "Per ora, non vedo la differenza."
Un colpo improvviso alla porta. Poi un altro.
Il legno iniziò a cedere.
Keen lo guardò, la voce spezzata: "Sono qui."
Sea prese un respiro profondo.
"Allora muoviamoci."
La porta esplose in mille schegge.
Le creature irruppero dentro.
Keen sparò, Sea lo coprì lanciando un tavolo contro gli zombie più vicini. I colpi rimbombavano, il sangue si mescolava alla polvere.
"Sea!" gridò Keen, ma l'altro non rispose. Afferrò una spranga, colpì con forza, spingendolo verso l'uscita secondaria.
Salirono su per le scale, mentre il pavimento vibrava per la massa di corpi sotto di loro.
"Non possiamo continuare così!" urlò Keen.
"Hai un'idea migliore?"
"Sì! Smettere di seguirti!"
"Perfetto. Allora resta qui e muori!"
Keen lo afferrò per la giacca. "Non dirmi cosa fare!"
"Allora cammina!"
Ruppero la porta sul tetto e si fermarono un istante, respirando l'aria tagliente.
Sotto di loro, la città bruciava. Le strade piene di movimenti lenti e distorti.
Il cielo, una lastra di metallo.
Sea si girò verso Keen. Entrambi avevano il volto sporco di sangue e cenere, gli occhi che brillavano di rabbia e paura.
Per un istante, non dissero nulla.
Poi, da lontano, una nuova voce risuonò nel cielo.
> "GIOCATORI. LA PRIMA FASE È INIZIATA."
"SOPRAVVIVETE. IL MONDO VI GUARDA."
Il rumore cessò.
Il vento tornò a fischiare tra i palazzi.
Sotto di loro, gli zombie continuarono a muoversi come un'unica ombra.
Keen si voltò verso Sea.
"E adesso?"
Sea lo fissò, il respiro ancora spezzato.
"Adesso... corriamo finché possiamo."
Chapter 4: Il Primo Rifugio
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Il buio stava calando.
Un’ombra sporca, aranciata dal tramonto, si stendeva sulle rovine e faceva tremolare i resti di cartelloni pubblicitari piegati dal vento. Il terreno era zuppo di fango e cenere, e l’odore del sangue sembrava ormai parte dell’aria stessa.
Keen correva davanti, ansimando. Le mani graffiate, il fiato spezzato. Ogni passo affondava nel terreno molle. Sea lo seguiva da vicino, il fucile stretto contro il petto, lo sguardo gelido ma lucido.
Erano vivi. Per ora.
Dietro di loro, urla e spari.
Il gruppo con cui si erano trovati si era ormai dissolto nel panico. Alcuni erano stati travolti, altri avevano sparato a caso, come se l’orrore avesse cancellato ogni briciolo di logica.
Keen si voltò di scatto, il sudore che gli colava negli occhi.
"Quanti ne hai visti morire?"
Sea non rispose. Solo un rapido movimento del capo, come per dire “troppi”.
Un rumore di passi. Una figura sbucò da un vicolo laterale. Era un ragazzo, uno dei partecipanti al torneo. Indossava ancora parte della divisa da giocatore, la giacca con il logo “DZ2.0” sporca di sangue.
Aveva lo sguardo perso, la pistola tremante in mano.
"State lontani!" urlò, la voce spezzata. "Non mi avrete! Non mi avrete!"
Sparò.
Sea si gettò di lato. Keen non fece in tempo. Il colpo lo prese di striscio al fianco, una lama di fuoco che lo fece urlare.
Il ragazzo continuò a sparare nel vuoto, i proiettili rimbalzavano sui muri, fino a quando un ringhio bestiale lo travolse da dietro.
Gli zombie.
Una massa di carne grigia e marcia che lo afferrò e lo trascinò a terra. Le urla si mescolarono al suono lacerante dei denti che affondavano nella carne.
"Andiamo!" gridò Sea.
Afferrò Keen sotto il braccio, lo trascinò via, mentre il rumore della carne lacerata copriva tutto il resto.
Corsero. Senza fiato, senza parlare.
I vicoli diventavano più stretti, i palazzi più deformi e contorti, come se la città fosse stata piegata dalla follia del gioco.
Ogni volta che Sea voltava lo sguardo indietro, temeva di vederli comparire: gli occhi vuoti, le bocche spalancate. Ma non vennero. Non ancora.
Keen barcollava, il sangue gli macchiava la camicia e il respiro diventava più pesante.
"Aspetta… mi gira la testa…" mormorò.
Sea lo zittì con un gesto.
"Muoviti. Se ti fermi, è finita."
"Lo so! Non serve urlarmi addosso!"
"Sei tu che ti sei fatto sparare!"
"Ah, certo, scusa se non ho riflessi da robot come te!"
La discussione si spense nel rumore del vento.
Dopo un tratto interminabile, Sea individuò un edificio.
Un’insegna spezzata pendeva sulla porta: “Bangkok Telecommunications”.
Le finestre erano distrutte, ma le mura ancora integre.
"Qui."
Spalancò la porta, lo trascinò dentro e la richiuse con forza, puntando contro una scrivania ribaltata.
Silenzio.
Solo il respiro affannato dei due e il ticchettio lontano di gocce che cadevano dal soffitto.
Keen si lasciò scivolare a terra, il viso pallido.
"Mi sento... come se mi avessero infilzato."
Sea si inginocchiò accanto a lui, controllando la ferita.
Non era profonda, ma sanguinava ancora troppo.
"Togliti la camicia."
"Wow, che modo diretto di provarci."
Sea alzò lo sguardo, impassibile.
"Se vuoi morire dissanguato, accomodati."
Keen sgranò gli occhi. "Scherzavo!"
Si tolse la camicia con un gemito, stringendo i denti mentre Sea strappava una parte della sua manica per improvvisare una fasciatura.
Le dita di Sea erano ferme, precise. Nessuna esitazione, solo efficienza. Ma quando il sangue di Keen gli sporcò le mani, si bloccò un istante.
Era reale. Tutto lo era.
Troppo.
"Ti farà male."
"Già lo fa."
Sea serrò la benda intorno al fianco, forte. Keen trattenne un urlo.
Il silenzio si fece pesante, quasi tangibile.
Fuori, il vento fischiava tra le crepe delle finestre rotte. Dentro, il battito dei loro cuori sembrava l’unico rumore vivo rimasto.
Keen sollevò lo sguardo.
Sea stava chinato su di lui, il viso sporco di cenere e polvere, ma lo sguardo calmo, impenetrabile come sempre.
"Non pensavo che saresti stato in grado di curare qualcuno, tanto meno me."
Sea si appoggiò con la schiena al muro, asciugandosi le mani.
"Nemmeno io pensavo che sarei mai finito a farlo. Ma al momento mi sei più utile vivo che morto."
Un mezzo sorriso gli attraversò il volto.
Keen lo fissò, socchiudendo gli occhi.
"Sai che a volte sembri quasi umano?"
Sea lo ignorò. Si alzò, camminò verso una finestra rotta e si affacciò.
Fuori, la città era un deserto di fumo e carcasse d’auto.
"Dobbiamo restare qui fino a domattina. Non possiamo rischiare di muoverci al buio."
Keen si sistemò meglio a terra, cercando di trovare una posizione comoda.
"E se entrano?"
"Non entreranno. Ci sono troppe carcasse fresche là fuori. Avranno di che nutrirsi."
Keen rabbrividì.
"Sai, il tuo modo di rassicurare la gente fa schifo."
Sea si voltò di nuovo verso di lui, incrociando il suo sguardo.
"Eppure sei ancora vivo."
Il silenzio tornò, questa volta più pacato.
Keen abbassò lo sguardo sulla ferita, poi su Sea.
Era strano. Nonostante l’odio, la rivalità, la competizione che li aveva sempre messi uno contro l’altro, ora l’unico motivo per cui respirava era lui.
"Sea?"
"Hm?"
"Ti sei mai chiesto se tutto questo… sia davvero solo un gioco?"
Sea rimase fermo, le braccia incrociate.
"Sì."
"E?"
"E ho smesso di chiedermelo. A questo punto, non importa più."
Keen lo osservò per un momento, poi si lasciò cadere indietro, guardando il soffitto crepato.
"Sai, pensavo che morirei prima di dover dipendere da te."
Sea tornò a sedersi accanto a lui.
"Sembra che il destino abbia un senso dell’umorismo."
Un rumore improvviso li fece sobbalzare entrambi.
Un tonfo. Qualcosa che cadeva dal piano superiore.
Sea imbracciò subito il fucile, il dito pronto sul grilletto.
Keen si tirò su, pallido.
"Zombie?"
Sea ascoltò per un istante. Poi scosse la testa.
"No. Troppo leggero. Forse un animale."
"Animali? In questo inferno?"
Sea fece un piccolo sorriso.
"Anche loro devono sopravvivere."
La tensione si allentò lentamente.
Keen si accasciò di nuovo, esausto.
"Mi prendo il primo turno di guardia."
:No."
"Sea, sto bene, non sono—"
"Ti sei appena beccato un proiettile. Dormi. Ti sveglio a metà notte."
Keen lo fissò, sorpreso dalla calma del tono.
"D’accordo, comandante."
Sea non rispose.
Si limitò a sedersi vicino all’ingresso, il fucile sulle ginocchia, lo sguardo fisso nell’oscurità.
Dopo un po’, Keen sussurrò, quasi per sé:
"Ti odio, lo sai?"
Sea non si voltò.
:Ottimo. Tienilo a mente. Ti servirà per restare vivo."
Keen rise piano.
"Sai che sei un pessimo compagno di squadra?"
"Lo so."
Le ore passarono lente.
Fuori, il mondo gemeva e respirava in modo innaturale. Dentro, solo due ragazzi che avevano passato troppo tempo a combattersi per capire che, forse, la cosa più difficile non era sopravvivere ai mostri… ma restare umani.
Sea chiuse gli occhi per un istante, ascoltando il respiro regolare di Keen che finalmente si era addormentato.
Poi tornò a guardare verso la finestra.
Nel vetro incrinato, il riflesso dei due: lui, immobile e teso, e il ragazzo ferito che dormiva, il viso stanco ma ancora vivo.
Una notte lunghissima li aspettava.
E per la prima volta, Sea si chiese se sarebbe riuscito a dormire sapendo che l’altro, nonostante tutto, era lì accanto a lui.
Il vento ululò fuori, trascinando con sé le urla lontane del mondo in rovina.
Dentro il rifugio, invece, regnava solo il silenzio.
Il primo silenzio vero da quando tutto era iniziato.
Chapter Text
La luce filtrava a fatica attraverso le finestre spezzate del vecchio edificio. Il cielo era ancora grigio, quasi identico alla notte che avevano attraversato. Keen si mosse appena, emettendo un gemito quando provò ad alzarsi. La ferita sul fianco gli pulsava sotto le bende improvvisate. Sea, seduto accanto a lui con lo sguardo fisso verso l’esterno, non si voltò.
"Resta fermo" disse soltanto. La voce era bassa, ma ferma. "Non è ancora guarita."
Keen sbuffò, appoggiandosi al muro. "Non mi serve un’infermiera. Sto bene, perché non mi hai svegliato a metà nottata?"
Sea si voltò appena. "Sì, si vede, che stai bene, e bhe non ti ho svegliato perché non serviva."
Il tono era freddo, ma nel suo sguardo c’era un’ombra di preoccupazione che cercava di nascondere. Keen la colse, e questo lo irritò ancora di più.
Si alzò comunque, zoppicando fino alla finestra. "Abbiamo intenzione di restare qui a marcire? O c’è un piano, genio?"
Sea chiuse gli occhi per un secondo, inspirando lentamente. Non rispose subito. Poi si alzò, controllando il fucile che aveva recuperato la notte precedente. "Prima di tutto, troviamo qualcosa da mangiare. Poi ci spostiamo. Non possiamo restare in un posto troppo a lungo."
"E chi ha deciso che sei tu a dare gli ordini?"
Keen lo fissò, con un sorrisetto arrogante che cercava di nascondere la stanchezza.
Sea gli restituì lo sguardo, impassibile. :Io, perché se aspettassi che tu ne avessi uno, saremmo già morti."
Per un momento, l’aria si tese tra di loro.
Poi Keen si limitò a sogghignare. "Simpatico come sempre."
Raccolsero il necessario, armi, zaini, qualche lattina trovata in un armadietto arrugginito. Fuori, la strada era deserta. I corpi dei giocatori che non avevano superato la notte giacevano ancora lì, immobili, con il sangue ormai secco. Il vento trascinava la polvere e il rumore lontano dei gemiti degli zombie si mescolava ai fischi metallici del vento tra le lamiere.
Keen serrò la mascella.
"Non riesco proprio ad abituarmici a questa cosa" mormorò.
Sea non rispose. Si limitò a fare un cenno con la testa, indicando la direzione da prendere.
Si mossero tra le rovine in silenzio. Ogni passo era misurato, ogni respiro trattenuto. Non c’erano più droni del torneo, né effetti speciali. Solo l’odore acre della paura.
Trovarono un piccolo market distrutto a un isolato di distanza. Le vetrine erano in frantumi, gli scaffali rovesciati. Keen si fece avanti per primo, stringendo il coltello con la mano buona.
"Tu controlla dietro" disse a Sea.
Sea lo ignorò, andando nella direzione opposta.
"Ehi! Ti ho detto..."
"Non dirmi cosa fare" tagliò corto Sea. "Concentrati a non farti ammazzare."
Keen serrò i denti, trattenendo la replica. Il silenzio era rotto solo dai passi e dal fruscio dei vetri sotto le scarpe.
Poi, un rumore.
Un colpo secco, qualcosa che cadeva da uno scaffale.
Keen si voltò di scatto, pronto a reagire.
Uno zombie apparve da dietro il bancone, muovendosi lento ma deciso. La pelle grigia, le mani sporche di sangue rappreso.
Keen lo colpì con un calcio, ma la ferita lo fece barcollare.
Sea fu più rapido: una lama, un colpo netto al cranio. Il corpo cadde a terra con un tonfo sordo.
Keen lo fissò, ansimando.
"Avrei potuto farcela da solo" disse, a denti stretti.
"Certo" rispose Sea, pulendo la lama sul pantalone. "Come no."
Keen lo guardò ancora per un istante, poi si voltò bruscamente.
Trovarono qualche bottiglia d’acqua, un paio di scatolette intatte. Niente di più.
Quando uscirono, il sole era già alto, anche se il cielo restava velato di cenere. Le strade erano deserte, ma ogni tanto si intravedeva qualche figura in lontananza, forse altri giocatori, forse altro.
Sea si fermò un attimo a osservare.
"Dovremmo spostarci verso nord. C’è una zona residenziale, potremmo trovare un altro rifugio."
"O un branco di zombie" ribatté Keen.
"Meglio che restare fermi."
Keen lo seguì, anche se brontolando.
Camminarono per ore, alternando lunghi silenzi a brevi litigi su quale strada prendere o su chi dovesse stare di vedetta. Ogni volta che Sea cercava di ragionare, Keen lo provocava. Ogni volta che Keen cercava di ridere, Sea lo ignorava.
Eppure, funzionavano. Stranamente, i loro movimenti si compensavano: dove uno era impulsivo, l’altro era preciso. Dove uno esitava, l’altro agiva.
Nel pomeriggio, raggiunsero un piccolo complesso di case semidistrutte. Le porte spalancate, i muri crepati, i resti di una vita normale congelata nel tempo.
Entrarono nella prima casa dopo essersi assicurati che fosse vuota.
Keen si lasciò cadere su una sedia rotta, stanco morto.
"Non male" disse, guardandosi intorno. "Almeno ha un tetto."
Sea appoggiò lo zaino a terra. "E finestre da chiudere. Dovremo sistemare qualcosa per bloccarle."
Keen rise amaramente. "Dovremo? Non ti ho visto fare a turno la notte scorsa."
Sea alzò un sopracciglio. "Vuoi che dorma io mentre tu sanguini sul pavimento?"
Keen si morse il labbro. "Sai, sei davvero pessimo nel ringraziare la gente."
"Non ti ho chiesto di salvarmi" replicò Sea.
"Nemmeno io a te, ma eccoci qui, vivi entrambi. Che coincidenza, eh?"
Sea sospirò, andando verso la finestra. Non replicò, ma il modo in cui si irrigidì tradì un fastidio trattenuto.
Keen lo osservò in silenzio per un po’, poi distolse lo sguardo.
Quando il sole cominciò a calare, decisero di accendere un piccolo fuoco nel camino. La fiamma illuminava i loro volti, riflettendo le ombre tremolanti sui muri.
Keen mangiava lentamente da una lattina, mentre Sea controllava le armi.
"Sai" disse Sea dopo un po’, "sei diverso quando non parli."
Keen lo fissò senza capire.
"Nel senso che, quando non apri bocca, sembri quasi sopportabile."
Keen fece una smorfia. "E tu sei insopportabile anche quando stai zitto."
Un attimo di silenzio. Poi, inaspettatamente, Keen rise piano. Una risata breve, nervosa, ma vera.
Sea lo guardò di lato, con espressione indecifrabile.
"Ti fa piacere ridere, eh?"
"No, è solo che... non pensavo che ci saremmo arrivati al giorno dopo."
Sea restò in silenzio.
Keen scosse la testa, abbassando lo sguardo. "Tutti quelli che conoscevamo... spariti. Come se non fossero mai esistiti."
"Non pensare a loro" disse Sea, quasi brusco. "Se lo fai, non riesci più a muoverti."
"Parli come se non ti importasse di niente."
Sea si irrigidì. "Non è così."
"Davvero?"
"Sì. È solo che se inizi a sentire tutto, qui dentro, muori."
Keen lo guardò a lungo. Poi sospirò. "Allora muoio a modo mio."
La notte scese lentamente.
Fuori, il vento soffiava tra i vetri infranti. Ogni tanto, si udiva il lamento distante di uno zombie.
Keen e Sea si alternarono nei turni di guardia.
Durante il suo turno, Keen osservò Sea dormire per un momento. Il viso rilassato, le labbra socchiuse, l’aria insolitamente tranquilla.
Non sembrava il ragazzo arrogante e freddo che aveva imparato a odiare.
E questo lo irritò ancora di più.
"Non guardarmi così" mormorò Sea senza aprire gli occhi.
Keen sussultò. "Ti stavi fingendo addormentato?"
"No. Ma sei rumoroso anche quando pensi."
Keen lo fissò, poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
"Sai, sei un vero stronzo."
Sea aprì gli occhi, voltandosi verso di lui. "Almeno non ti annoi."
Per un momento, restarono in silenzio.
Fuori, il mondo era morto. Dentro, due cuori battevano ancora, stanchi ma vivi.
Keen si sistemò meglio sulla sedia, puntando il fucile verso la finestra.
"Dormi, Sea. Tocca a me adesso."
Sea lo fissò ancora un istante, poi si voltò.
"Non addormentarti anche tu."
"Tranquillo" rispose Keen, con un mezzo sorriso. "Non ti darò questa soddisfazione."
La fiamma del fuoco tremolò, poi si spense lentamente, lasciando solo il suono del vento e il battito regolare di due vite che ancora resistevano.
Notes:
Heyy, spero vi sia piaciuto il capitolo, ieri è uscito il 5ep di H2Head e non posso farcela sono troppo carini, sto ancora urlando, non vedo l'ora di vedere il prossimo ep soprattutto la parte dove Jerome chiama la mamma di Jinn mamma
Chapter 6: Cure
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La mattina era grigia come il cemento che li circondava. L’aria immobile puzzava di ferro e umidità, e dalle finestre rotte del vecchio edificio filtrava una luce spenta, tagliata dalle ombre dei detriti. Keen aprì gli occhi con un brontolio basso e si passò una mano tra i capelli spettinati. Sea era sveglio, seduto accanto alla porta, il fucile sulle ginocchia e lo sguardo fisso sul corridoio buio.
"Non dormi mai, tu?" mormorò Keen, strofinandosi la faccia.
Sea non rispose subito. "Qualcuno deve stare di guardia."
Il tono era calmo, piatto, ma con quella punta di distacco che irritava Keen ogni volta.
Si alzò in piedi e si stiracchiò. "Sai, se continui a fare l’eroe silenzioso finirai per sembrare un personaggio da serie drammatica…"
Sea lo fissò di sfuggita. "Meglio quello che sembrare uno che non prende mai niente sul serio."
Keen sbuffò. "Ti piacerebbe."
Un suono metallico li interruppe. Un messaggio apparve davanti a loro, fluttuante nell’aria come un ologramma sospeso:
“Missione Secondaria: CURE - Recupera il kit di sopravvivenza dal magazzino militare.”
Ricompensa: Accesso a risorse mediche avanzate.
Tempo stimato: 4 ore.
"Finalmente qualcosa di utile" commentò Keen, avvicinandosi all’ologramma. "Kit di sopravvivenza. Potrebbe esserci roba per disinfettare, antidolorifici."
"E forse anche un mucchio di zombie a fare da guardiani" replicò Sea, alzandosi. "Andiamo."
Il magazzino militare si trovava a circa un’ora di cammino verso ovest. Attraversarono strade invase dall’erba, carcasse di auto arrugginite e insegne divelte. Il vento trascinava polvere e lamenti lontani, quel suono inconfondibile che non apparteneva a nessun animale vivo.
"Sai" disse Keen mentre camminavano, "ti rendi conto che se fossimo in un altro contesto, la gente penserebbe che siamo in una missione cooperativa da gioco?"
"Lo siamo" rispose Sea senza distogliere lo sguardo.
"Già, peccato che se moriamo, moriamo davvero."
Keen rise nervosamente, ma il suono gli si spense in gola. Sea lo sentì e per un attimo rallentò, senza voltarsi.
"Se non sei in grado di reggere la tensione, puoi restare indietro."
"Oh, grazie per la compassione, davvero" ribatté Keen. "Non sei stanco di fare il duro?"
"Non sei stanco di fare il bambino?"
L’astio tra loro era palpabile. Camminavano vicini, ma ogni parola creava una distanza nuova. Eppure, quando un gemito profondo si levò da una via laterale, entrambi si immobilizzarono nello stesso istante, istintivamente sincronizzati. Sea fece cenno di abbassarsi. Keen lo seguì senza discutere.
Da dietro un furgone rovesciato, tre figure si trascinarono nella strada, lente, con la pelle grigia che pendeva come cera sciolta. Gli occhi vitrei fissavano il vuoto. I due restarono immobili fino a quando gli zombie si allontanarono barcollando. Solo allora Sea sussurrò:
"Dobbiamo aggirarli dal lato est."
Keen annuì, a denti stretti. "Guida tu, genio."
Il magazzino comparve all’orizzonte un’ora dopo: un edificio basso, rinforzato con lamiere e filo spinato, le insegne militari sbiadite sulla facciata. Intorno, una recinzione metallica crollata in più punti.
"Sembra tranquillo" disse Keen, osservando l’ingresso.
Sea lo fissò con un sopracciglio alzato. "Non dire mai quella parola, in nessun gioco, in nessuna vita."
"Ah, già. Dimenticavo che vivi seguendo i cliché."
Sea si avvicinò alla porta principale e si chinò per controllare la serratura. Era divelta. Entrarono con cautela, le torce accese. L’interno odorava di muffa e sangue secco. Scaffali ribaltati, casse aperte, resti di uniformi.
Un sussurro metallico vibrò nell’aria.
“Avviso: area instabile. Rilevate presenze biologiche.”
Keen alzò lo sguardo verso il soffitto. "Presenze biologiche? Non suona bene"
"Non lo è" rispose Sea.
Si mossero in silenzio. Ogni passo scricchiolava sul pavimento coperto di vetri. In fondo al corridoio, una porta blindata socchiusa emanava una luce verdastra. Sea si avvicinò per primo, il fucile alzato.
Dentro c’erano scaffali ordinati, sacche mediche, scatole di kit di sopravvivenza con il logo del gioco inciso sopra. Ma non erano soli. Un rumore di trascinamento, poi un colpo secco. Da dietro una colonna comparve un soldato. O meglio: quello che ne restava.
La mascella pendente, la pelle lacera, ma ancora in uniforme. Stringeva un’arma spenta, le dita contorte. Quando li vide, emise un suono gutturale e scattò.
Sea sparò due colpi secchi. Il primo lo colpì al petto, il secondo alla testa. Il corpo cadde pesantemente.
Keen fece un passo indietro, col fiato corto. "Dio, sembrava… reale."
Sea abbassò lentamente il fucile. "Lo è."
Si avvicinarono alle casse. Sea aprì una delle scatole, rivelando una serie di bende, siringhe e piccole fiale luminose.
"Eccolo" disse. "Kit di sopravvivenza. Missione completata."
Un segnale acustico confermò le sue parole. L’ologramma riapparve:
Missione secondaria completata. Ricompensa ottenuta.
Keen lasciò uscire un sospiro, quasi una risata. "Siamo vivi. E non abbiamo nemmeno dovuto correre questa volta."
Sea gli lanciò uno sguardo di traverso. "Non dire ‘questa volta’."
"Perché?"
"Porta sfortuna."
Keen scosse la testa. "Sei incredibile. Ti sei mai rilassato una volta in vita tua?"
"Mi rilasserò quando saremo fuori da questo inferno."
Mentre parlavano, uno dei contenitori si mosse. Sea si voltò di scatto. Una mano pallida, marcia, spuntò dal buio dietro la cassa. Uno zombie più piccolo, forse un civile, li attaccò con un urlo strozzato. Keen reagì istintivamente, afferrando una spranga da terra e colpendolo con forza. Il corpo crollò con un tonfo umido.
Il respiro di Keen era affannato, la mano tremante. Sea si avvicinò e gli tolse la spranga di mano.
"Hai esitato."
"Scusa se non mi piace fracassare la testa alla gente!"
"Allora abituatici, o morirai."
Lo sguardo di Keen si accese di rabbia. "Sai, la tua empatia è davvero commovente."
"Non mi pagano per essere empatico."
"Non ti paga nessuno, Sea!"
Il silenzio che seguì fu denso come il sangue sul pavimento. Sea inspirò lentamente. "Finito di sfogarti?"
Keen lo fissò, gli occhi lucidi di frustrazione e paura. "Sì. Per ora."
Sea tornò alle casse e riempì uno zaino con le scorte. Quando si voltò, Keen era appoggiato al muro, il viso girato verso la finestra rotta da cui filtrava un raggio pallido di luce. Sembrava stanco. Non solo fisicamente.
Per un momento, Sea lo osservò in silenzio. Quel ragazzo chiassoso, che sembrava sempre così leggero, ora aveva lo sguardo vuoto e cupo.
"Muoviti" disse infine, cercando di non pensarci troppo. "Dobbiamo tornare prima che cali il buio."
L’uscita dalla base fu un incubo silenzioso. Zombie sparsi tra le ombre, movimenti lenti ma costanti. Keen guidava, con Sea poco dietro, entrambi schiacciati contro i muri perimetrali. Ogni scricchiolio faceva trattenere il fiato.
Un urlo lontano li fece gelare. Non umano. Grave, profondo. Sea si voltò di scatto.
"Corri."
Non servì ripeterlo. Keen partì di slancio, e Sea dietro di lui. Attraversarono la recinzione, inciampando tra le macerie, mentre dietro di loro si levava un coro di gemiti. C’erano decine di figure che si agitavano nella polvere.
Raggiunsero un cavalcavia semi crollato e si buttarono dietro a un’auto. Restarono lì, immobili, i respiri corti che riempivano il silenzio. Le creature si dispersero dopo lunghi minuti.
Keen rise piano, isterico. "Dio… pensavo fossimo morti."
"Quasi" rispose Sea, asciugandosi il sudore dalla fronte. "Hai corso meglio del solito."
"Stai scherzando? Ho corso meglio di te!"
Sea sollevò un sopracciglio. "Ne dubito."
"Davvero? Dovremmo cronometrarci la prossima volta."
"Non ci sarà una prossima volta."
"Lo dici sempre."
Quando raggiunsero di nuovo il loro rifugio, il sole stava calando, tingendo il cielo di un arancio sporco. Sea poggiò lo zaino a terra e lo aprì, tirando fuori parte del contenuto.
Keen lo osservò mentre sistemava le fiale in fila, metodico come sempre.
"Sai" iniziò piano, "non è così orribile come pensavo stare con te."
Sea si fermò un attimo, poi lo guardò di lato.
"Per me invece lo è ancora."
Un sorriso gli piegò le labbra, quasi impercettibile.
Keen lo notò, ma non disse nulla. Si limitò a ridere piano, lasciando che il suono si perdesse tra le pareti vuote del rifugio.
Fu la prima volta che, nel silenzio della notte, non sentirono solo il rumore dei mostri fuori, ma anche il battito sincronizzato dei loro cuori, vivi.
Chapter 7: La Notte al Rifugio
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L’aria della notte era immobile, densa come una coperta umida. Fuori, oltre le assi inchiodate alle finestre, il mondo gemeva. Passi trascinati, rantoli, colpi sordi contro i muri. Gli zombie sembravano muoversi in massa, spinti da un istinto cieco. Ma dentro la casetta abbandonata che avevano fortificato, regnava un silenzio sospeso, quasi irreale.
Sea era seduto accanto al fuoco improvvisato nel vecchio camino, con lo sguardo fisso sulla fiamma tremolante. Aveva tolto il giubbotto, le maniche della maglia arrotolate fino ai gomiti, le mani segnate dalla polvere e dai tagli. Keen era accovacciato poco distante, intento a ripulire la lama del coltello. Il metallo luccicava appena alla luce calda, come se riflettesse tutto ciò che non riuscivano a dirsi.
Il giorno era stato lungo. Avevano affrontato la missione, rischiato di morire almeno tre volte, e ora, per la prima volta dopo ore, si trovavano fermi. Vivi. Insieme.
Sea sollevò lo sguardo verso Keen, che aveva il viso illuminato dal fuoco, gli occhi concentrati e le labbra piegate in quella linea ostinata che lo faceva sembrare sempre sul punto di sfidare il mondo intero. “Hai intenzione di fissare quel coltello tutta la notte?” chiese piano.
Keen sbuffò, ma non alzò gli occhi. “Sto solo assicurandomi che domani non ci lasci le penne per colpa di una lama spuntata.”
“È la terza volta che la pulisci.”
“E tu è la terza volta che mi rompi per questo.”
Silenzio. Solo il crepitio del fuoco.
Sea sorrise appena, ma non rispose. L’aria era carica di qualcosa che non riuscivano più a definire: non ostilità, non esattamente pace. Un terreno incerto tra i due estremi.
Dopo un po’, Keen posò la lama e si lasciò cadere all’indietro, poggiando la testa contro la parete. “Sai che mi sembra assurdo tutto questo?” disse, fissando il soffitto annerito dal fumo. “l'altro giorno ero in un’arena virtuale, con le luci, i commentatori, il pubblico che urlava i nostri nomi. E ora… sono qui, a dividere un rifugio con te mentre fuori ci sono mostri che vogliono mangiarci.”
Sea lo guardò in silenzio. Poi rispose piano: “Sì. È assurdo.”
Keen rise, ma era un suono breve, stanco. “Pensavo che avrei goduto, se un giorno fossimo finiti nella stessa squadra. Tipo… finalmente avrei potuto dimostrarti che sono meglio di te, anche come compagni di squadra.”
“E adesso?”
“Ora mi chiedo se sopravviverò abbastanza per farlo.”
La voce di Keen si incrinò appena, e Sea la percepì come una nota stonata in un brano che conosceva a memoria. Si spostò un po’ più vicino, non troppo da sfiorarlo, ma abbastanza da farsi sentire presente.
“Perché giochi?” chiese.
Keen lo fissò, sorpreso. “Che intendi?”
“Voglio dire… perché hai cominciato? Non per i soldi, non per la fama. Perché davvero?”
Keen restò in silenzio per un attimo. Poi abbassò lo sguardo. “Perché era l’unico posto dove potevo vincere.”
Sea lo osservò, senza parlare.
“Fuori da lì,” continuò Keen, la voce bassa, “tutti erano già bravi in qualcosa. Io no. A scuola, a casa, tra gli amici… non ero mai abbastanza. Ma quando ho iniziato a giocare, per la prima volta qualcuno mi ha detto che ero forte. Che valevo qualcosa.”
Sospirò. “Poi sei arrivato tu. Perfetto. Freddo. Inarrestabile. E tutti hanno cominciato a paragonarmi a te. ‘Sea non avrebbe sbagliato così’, ‘Sea avrebbe già finito la missione’. Mi hai tolto anche quel posto.”
Sea lo ascoltò senza interrompere, e per un momento si sentì colpevole senza capire esattamente perché. Non aveva mai voluto essere un nemico. Solo… giocare e possibilmente vincere.
“Non pensavo che la mia esistenza ti desse così fastidio” disse infine, piano.
Keen rise senza gioia. “Non eri tu. Ero io. Solo che era più facile odiarti che ammettere che mi sentivo un fallimento.”
Il silenzio tornò, ma questa volta aveva un peso diverso. Sea si passò una mano tra i capelli, poi rispose a bassa voce: “Io non ho mai avuto davvero qualcosa contro di te, Keen.”
“Davvero?”
“Davvero. All’inizio ignoravo solo le tue provocazioni. Poi… beh, hai insistito tanto che ho cominciato a risponderti.”
Keen lo guardò di lato, e per la prima volta quella sera, un accenno di sorriso gli increspò le labbra. “Quindi è colpa mia se sei diventato così acido.”
“Direi di sì.”
Si scambiarono uno sguardo lungo, carico di elettricità. Non c’era bisogno di parole per capire quanto le distanze si fossero accorciate, centimetro dopo centimetro, in quei giorni di sopravvivenza.
Sea abbassò lo sguardo, ma non si allontanò. “Sai,” mormorò, “non sono così diverso da te. Ho sempre giocato perché era l’unica cosa che mi riusciva bene. Non per vincere… ma perché era l’unico posto dove riuscivo a sentirmi al sicuro. Dove tutto aveva un senso.”
Keen inclinò la testa. “E ora?”
“Ora niente ha senso.”
Il fuoco scoppiettò. Fuori, un colpo secco contro la finestra fece sobbalzare entrambi. Un’ombra scivolò oltre le assi, poi silenzio di nuovo. Il mondo là fuori li osservava, come un predatore in attesa.
Keen si alzò e si avvicinò alla finestra per controllare. “Sono troppi,” disse piano. “Se decidono di attaccare tutti insieme, queste barricate non reggeranno.”
Sea si alzò a sua volta. “Non lo faranno. Si muovono solo quando sentono qualcosa.”
“E se uno di noi si addormenta durante il turno di guardia?”
“Allora sarà colpa mia,” rispose Sea. “Perché dormirai tu per primo.”
Keen lo fissò, sorpreso. “Non è una buona idea.”
“Non ho sonno.”
Era una bugia. Ma Sea non voleva ammettere che guardare Keen dormire gli dava una strana sensazione di tranquillità, come se, per un momento, tutto quel caos potesse restare fuori.
Keen sospirò, ma non insistette. Tornò a sedersi, allungando le gambe e tirando la coperta fino al petto. “Sai, sei strano.”
“Lo so.”
“Tipo… pensavo fossi uno di quelli senza emozioni. Freddi, sempre perfetti. Ma in realtà sei solo... calmo.”
Sea sorrise, quasi impercettibilmente. “E tu invece sei esattamente come pensavo.”
“Impulsivo, testardo e brillante?”
“Fastidioso.”
Keen rise, quella volta davvero. La risata gli scappò di gola, limpida e breve, ma bastò a sciogliere la tensione nell’aria.
“Buonanotte, Sea.”
“Buonanotte, Keen.”
Sea restò in silenzio per un po’, mentre Keen chiudeva gli occhi. Lo osservò respirare, il petto che si sollevava piano, la fronte ancora contratta come se anche nei sogni dovesse combattere qualcosa.
Si lasciò scivolare contro il muro, con il fucile accanto, lo sguardo perso nel fuoco che si spegneva lentamente. Sentiva il respiro di Keen, regolare, vicino. Troppo vicino.
Fuori, il vento si alzò, portando con sé l’eco lontano di un urlo. Uno, poi due, poi molti. Gli zombie si muovevano in massa. Le assi della finestra tremarono, la porta scricchiolò.
Sea si alzò piano, controllò le barricate, poi tornò accanto al camino. Si fermò, osservando di nuovo Keen. In quell’attimo, tra la luce intermittente delle fiamme e il buio che premeva da fuori, non sembrava il ragazzo impulsivo e arrogante che aveva sempre conosciuto. Sembrava solo umano. Spaventato, come lui.
Sea si sfiorò appena le labbra, come se potesse trattenere una parola che non voleva pronunciare. Poi si sedette di nuovo, le mani strette attorno al fucile.
Fuori, la notte continuava a respirare. Dentro, solo il rumore del fuoco e il ritmo lento del respiro di Keen.
E per la prima volta, da quando erano intrappolati in quel gioco, Sea sentì il peso del silenzio farsi meno opprimente.
Non perché il pericolo fosse svanito. Ma perché, per una notte soltanto, non si sentiva più solo.
Il fuoco tremolava piano.
Il turno di guardia cominciava.

scurinca on Chapter 1 Mon 24 Nov 2025 01:48AM UTC
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